La portata del fallimento dell’intelligence israeliana è scioccante quasi quanto la brutalità e il successo dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Ma, come sottolinea Amy Zegart su Foreign Affairs, i grandi attacchi inaspettati “non sono quasi mai delle vere sorprese”. È difficile capire cosa abbia impedito alle forze di sicurezza israeliane di agire ma probabilmente hanno commesso tre errori critici. Restano comunque molte domande che richiederanno revisioni successive e un’indagine simile a quella condotta dalla Commissione sull’11 settembre per analizzare completamente questi fallimenti. Ma ci sono certamente lezioni da imparare, non solo per l’intelligence e l’apparato di sicurezza israeliani, ma per i servizi di intelligence a livello globale. La lotta al terrorismo richiede che le agenzie di intelligence affrontino i pregiudizi, combattano l’autocompiacimento e pensino in modo creativo sulla natura in evoluzione degli attacchi terroristici e su come, quando e perché le organizzazioni terroristiche impiegheranno una serie di tattiche in futuro
La portata del fallimento dell’intelligence israeliana è scioccante quasi quanto la brutalità e il successo dell’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Mentre le forze di difesa israeliane stanno espandono il loro contro a Gaza e con il bilancio delle vittime salito già a migliaia, non è prematuro riflettere sugli specifici passi falsi che hanno reso possibile "l’11 settembre di Israele”.
Una resa dei conti completa richiederà mesi se non anni di indagini, ma come evidenziato dagli studiosi di terrorismo, conflitti armati e scienze politiche, Haleigh Bartos e John Chin tre sarebbero le potenziali cause del fallimento dell’intelligence israeliana, dalli quali trarre un immediato insegnamento.
Come sottolinea Amy Zegart, nel suo articolo "Israel’s Intelligence Disaster. How the Security Establishment Could Have Underestimated the Hamas Threat" i grandi attacchi inaspettati “non sono quasi mai delle vere sorprese”.
Questo sembra essere il caso dell’attentato del 7 ottobre.
Il 9 ottobre, l’intelligence egiziana ha dichiarato pubblicamente di aver dato a Israele ripetuti avvertimenti ad alto livello di un attacco imminente – “qualcosa di grosso” – prima che Hamas colpisse da Gaza, inclusa una telefonata diretta dal ministro dell’intelligence del Cairo al primo ministro Benjamin Netanyahu a fine settembre.
L’intelligence statunitense ha anche avvertito i propri politici dell’insolita attività di Hamas e di una generale crescente sua minaccia sulla base di molteplici flussi di intelligence, comprese le informazioni ricevute da Israele, sebbene i rapporti in particolare non includessero dettagli tattici.
È difficile capire cosa abbia impedito alle forze di sicurezza israeliane di agire ma probabilmente hanno commesso tre errori critici.
Un quadro datato delle capacità e delle intenzioni di Hamas
I leader israeliani quasi certamente credevano che la superiorità militare di Israele sarebbe stata in grado di respingere qualsiasi attacco da parte delle forze paramilitari. A sua volta, ciò ha portato all’autocompiacimento, partendo dal presupposto che Hamas non avrebbe lanciato un attacco così importante perché non avrebbe potuto sconfiggere Israele.
Come osserva Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare israeliana, Netanyahu sembra essersi convinto che “Hamas non è così pericoloso, possiamo conviverci. Ogni tre, quattro anni faremo uno scontro a fuoco. Ma questo non è il nemico più pericoloso di Israele”.
Se fosse vero, si sarebbe trattato di un errore di calcolo fatale.
Facendo eco al fallimento dell'intelligence del 1973 - che portò Israele a essere sorpreso dagli attacchi arabi che diedero inizio alla guerra dello Yom Kippur - Tel Aviv ha calcolato male sia le capacità e le intenzioni di Hamas, sia la sua stessa capacità di difesa.
Sottovalutare le capacità di Hamas
Nel 1973 Israele non rispose agli avvertimenti dell’intelligence secondo cui gli attacchi dei suoi vicini arabi erano imminenti. Poiché, in precedenza, le forze armate arabe avevano fallito nel loro intento, Israele pensava di poter bloccare qualsiasi assalto e che i suoi nemici sarebbero stati scoraggiati dalla superiorità militare di Tel Aviv. Una logica simile nei confronti di Hamas potrebbe essersi diffusa all’interno dell’attuale apparato di sicurezza israeliano. È vero, l’ala militare di Hamas ha lanciato molti attacchi terroristici in Israele a partire dagli anni ’90, ma nessuno ha dimostrato l’organizzazione o la capacità necessaria per condurre un attacco così sofisticato come quello del 7 ottobre.
Tuttavia, i leader israeliani e altri osservatori erano ben consapevoli che Teheran da anni aumentava gli aiuti a sostegno di Hamas. Ciononostante Israele ha chiaramente sottovalutato quanto tali risorse avessero rafforzato le attuali capacità militari, nonché il comando e il controllo di Hamas.
Incomprensione delle intenzioni di Hamas
Le intenzioni di Hamas potrebbero essere state e potrebbero essere ancora gravemente fraintese. I leader israeliani potrebbero aver calcolato che Hamas non avrebbe intrapreso un simile attacco perché Israele stava fornendo incentivi economici per la pace (ovvero, supervisionando il trasferimento dei finanziamenti del Qatar a Gaza). Israele potrebbe essere arrivato a credere che le intenzioni di Hamas si fossero ammorbidite, o che Hamas potesse essere contenuto senza progressi verso una soluzione a due Stati. Leader di Hamas come Ismail Haniyeh e Khaled Meshal tra il 2006 e il 2014 hanno espresso apertura a una tregua indefinita (hudna) con Israele nell’ambito di una soluzione a due Stati basata sui confini del 1967. Non è chiaro che lo pensassero veramente e da allora non ci sono stati progressi verso la soluzione dei due Stati. Ancora più importante, la pace permanente con Hamas non poteva e non può essere acquistata.
La ricerca su attori con “valori sacri”, come i militanti di Hamas, mostra che gli incentivi materiali per la pace si ritorcono contro e suscitano indignazione morale.
Per Hamas, l’accordo con Israele era chiaramente tattico (a breve termine), non strategico (a lungo termine).
Come sottolinea Bruce Hoffman, le intenzioni genocide di Hamas non sono mai state un segreto, ma sono insite nel suo “DNA”: previste sia il patto costitutivo del 1988 che nello statuto del gruppo rivisto nel 2017. Quasi due decenni fa, nel suo classico Inside Terrorism (2006), Hoffman identificò Hamas come un gruppo terroristico religioso con una missione antisemita e millenaristica di jihad per distruggere Israele e uccidere gli ebrei.
L’ascesa di Hamas a partire dagli anni ’90 rappresenta “l’ islamizzazione del conflitto israelo-palestinese”. Da allora, il conflitto laico-nazionalista si è trasformato in conflitto religioso.
Una recente ricerca di Monica Duffy Toft mostra che i conflitti nei quali la religione è centrale (come è il caso con Hamas) sono più mortali e hanno meno probabilità di concludersi con una pace duratura.
Piuttosto che la pace, è probabile che Hamas (e i suoi sostenitori in Iran) volessero la guerra, anticipando una grande risposta militare israeliana all’attacco del 7 ottobre che, poi, avrebbe potuto utilizzare come arma in una guerra d’informazione contro gli israeliani per guadagnare simpatia per la causa palestinese a livello internazionale ed erodere il sostegno a Israele.
Alla vigilia del 7 ottobre Hamas era sempre più isolato. A livello nazionale, secondo un recente sondaggio dell'Arab Barometer, solo il 29% degli abitanti di Gaza ha espresso fiducia nel governo di Hamas e solo il 24% ha affermato che voterebbe per Ismail Haniyeh invece che per Mahmoud Abbas o per un candidato rivale di Fatah. A livello internazionale, la causa palestinese veniva messa da parte a seguito degli Accordi di Abramo.
Come sottolinea Audrey Kurth Cronin, Hamas molto probabilmente voleva provocare una reazione eccessiva da parte di Israele che avrebbe compromesso la “normalizzazione arabo-israeliana in Medio Oriente”, compresi i colloqui in corso, mediati dagli Stati Uniti, per un accordo di pace tra Arabia Saudita e Israele. I leader israeliani hanno sottovalutato l’impegno di Hamas nell’invertire il suo isolamento diplomatico.
Ingannati dalla negazione, dal trucco e dalla maggiore sicurezza operativa di Hamas
La Negazione di San Pietro del Caravaggio
Le attività di negazione e di inganno mirano a fuorviare le operazioni di intelligence, anche adulterando i suoi canali di notizie con la disinformazione. Hamas ha fatto proprio questo in almeno due modi.
In primo luogo, secondo una fonte israeliana, Hamas ha ingannato Tel Aviv dando “l’impressione pubblica che non fosse disposto a combattere o confrontarsi con Israele mentre si preparava per questa massiccia operazione”. In secondo luogo, Hamas ha utilizzato tattiche di sicurezza operativa migliorate. L'intelligence condivisa con gli Stati Uniti indica che una piccola cellula di agenti di Hamas ha comunicato per due anni tramite telefoni cablati incorporati nella rete di tunnel sotto Gaza; secondo quanto riferito, questo gruppo ha evitato di utilizzare telefoni cellulari e computer per eludere il rilevamento. Ciò ha negato la raccolta di informazioni da parte dei funzionari dell'intelligence israeliana. Di conseguenza, Hamas avrebbe potuto preparare in segreto l'attacco del 7 ottobre senza destare sospetti.
Il pregiudizio della conferma e i preparativi per la guerra di Hamas
Se ci sono voluti anni per pianificare l’attacco del 7 ottobre, come sembra, com'è possibile che nessuno se ne sia accorto? Nonostante le attività di smentita e di inganno di Hamas e il miglioramento della sicurezza operativa, sono emersi alcuni indicatori preoccupanti.
Uno dei probabili colpevoli è il bias di conferma, che porta gli analisti dell’intelligence “a sottovalutare o ignorare le prove che contraddicono un giudizio iniziale e l’evidenza di valore che tende a confermare valutazioni già effettuate”. Ad esempio, un’indagine della CNN ha analizzato video di propaganda e immagini satellitari che hanno mostrato l’espansione e l’aumento dell’attività in diversi campi di addestramento di Hamas a Gaza negli ultimi due anni. Interrogato, un portavoce delle forze di difesa israeliane ha affermato che i risultati non erano “niente di nuovo”. Ciò suggerisce che gli analisti israeliani hanno visto ciò che avevano visto prima: un addestramento che non segnalava un evento catastrofico. Non si può fare a meno di chiedersi quanto fossero scure le nuvole prima della tempesta.
Restano molte domande che richiederanno revisioni successive e un’indagine simile a quella condotta dalla Commissione sull’11 settembre per analizzare completamente questi fallimenti di intelligence e sicurezza.
Ma ci sono certamente lezioni da imparare, non solo per l’intelligence e l’apparato di sicurezza israeliani, ma per i servizi di intelligence a livello globale. La lotta al terrorismo richiede che le agenzie di intelligence affrontino i pregiudizi, combattano l’autocompiacimento e pensino in modo creativo sulla natura in evoluzione degli attacchi terroristici e su come, quando e perché le organizzazioni terroristiche impiegheranno una serie di tattiche in futuro.
Fonte Modern War Institute at West Point
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