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La "cosa pubblica" ed il "circolo vizioso delle irresponsabilità"

Gabriele Iuvinale

Della dicotomia tra il settore pubblico e quello privato se ne sente parlare oramai da decenni. Ed è certamente cosa esistente. Negarla, sarebbe come accettare l'insensata tesi di chi afferma che la terra è piatta. Altrettanto innegabile, è che la crisi pandemica ne abbia enfatizzato la distanza.


Ma il siamo tutti sulla stessa barca è l'irritante frase che si sente ripetere, costantemente, in questi mesi. Affermazione mendace ed ipocrita, però. Il tentativo è chiaro: tranquillizzare chi non ha più un reddito. Ma questi sa che il suo posto sulla quella barca, probabilmente, non ci sarà. Anzi, è già annegato.

La strada scelta da Renato Brunetta, Ministro della pubblica amministrazione, sembrerebbe non invertire questa tendenza, almeno per il momento. Ovvero, prima premio e poi chiedo maggiore efficienza.

In un suo tweet di qualche giorno fa, infatti, ha affermato che la stagione dei rinnovi contrattuali che apriamo oggi è un riconoscimento dovuto ai lavoratori pubblici: da loro bisogna ripartire per cogliere la sfida e le opportunità del Recovery.

Forse sarebbe stato preferibile invertire l'ordine: prima l'efficienza e poi la pecunia.

Ma la storia sembra ripetersi. Déjà-vu. Per questo è importante studiare il passato per comprendere il presente.

In questo Paese la "cosa pubblica" è sempre stata posta al vertice della piramide. La si privilegia sempre, anche economicamente, nonostante le gravi inefficienze e l'enorme debito statale. E non è solo conseguenza di un diverso modo di concepire lo Stato e l'economia. Tra il comunismo, dove lo Stato diviene un fantasma giuridico nelle mani di una élite politica, ed i liberismo, peraltro mai attecchito in terra italica.

E' qualcos'altro.

L'economista Antonio Martino, studente del famoso Milton Friedman, nel 1977, nel tentativo di spiegare l'inflazione come conseguenza dell'insensata politica fiscale e monetaria italiana di quegli anni che portò ad un raddoppio del debito pubblico tra il '70 e il '75, coniò una famosa frase: il circolo vizioso delle irresponsabilità. Nessuno è responsabile, diceva, perché sembra che tutti facciano il proprio dovere. E per tutti intendeva sindacati, Parlamento e Governo.

Il "sistema", affermava, funziona così: i sindacati chiedono al settore pubblico aumenti salariali e "miglioramenti" contrattuali che finiscono per fare aumentare la spesa pubblica. Il Parlamento, dal canto suo, chiede al Governo una maggiore spesa per i servizi sociali. Il Governo cede alle richieste di entrambi e la spesa pubblica cresce fino al punto in cui non può più essere finanziata con l'aumento delle imposte esplicite. Il deficit di bilancio cresce fino a raggiungere livelli tali che non consentono il suo finanziamento con l'indebitamento ai tassi d'interesse di mercato. A questo punto il ricorso alla creazione di moneta (all'epoca possibile) come mezzo per finanziare il deficit pubblico diventa inevitabile. E così l'inflazione saliva.

Ma ecco il concetto sostanziale.

In questo "sistema" , diceva Martino, nessuno è responsabile. Sembra quasi che le cose vadano male malgrado che tutti facciano il proprio dovere. I sindacati ed il Parlamento non sono responsabili del fatto di chiedere aumenti della spesa pubblica: si tratta, dopo tutto, del loro mestiere, sosteneva l'economista.

Il Governo non è responsabile se cede alle richieste dei sindacati ed alle pressioni del Parlamento: la nostra è una democrazia parlamentare ed il Governo non può ignorare del tutto le pressioni provenienti dal Parlamento e dai gruppi sociali. Anche le Autorità monetarie non sono responsabili, perché a loro volta devono emettere moneta per finanziare il deficit pubblico.

E così, la spirale dell'irresponsabilità continua ad autoalimentarsi fino ai nostri giorni.

Con l'aggravante che la politica ha pure deciso di non governare: la crescita economica, ed i fattori della produzione, sono un optional, surrogabili da politiche di bilancio, debito pubblico e conseguenti tasse, implicite ed esplicite.

Studiare il passato per capire il presente, allora. Non ripetiamo gli stessi errori.

Invertiamo subito la rotta. E' già tardi. Rimettiamo al centro di ogni politica l'impresa privata, la concorrenza e le liberalizzazioni.

Alla pubblica amministrazione imponiamo l'efficienza, senza che ciò diventi uno stupido ed inutile scontro tra pubblico e privato. Ma prima il dovere e poi il piacere.




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