di Nicola Iuvinale
Il recente DPCM del 3 dicembre scorso - che trova applicazione dal 4/12 al 15/1 - prevede l'applicazione di misure restrittive alla circolazione e allo svolgimento di attività in base alla classificazione di rischio epidemiologico delle Regioni, classificate in rosse, arancioni o gialle.
Dal punto di vista del trattamento sanzionatorio, il citato DPCM richiama sia il DL 25 marzo 2020 n. 19, sia il DL16 maggio 2020 n. 33 il quale, all'art. 2, prevede - oltre ad una sanzione penale in caso di violazione dell'ordine di quarantena per i positivi da Covid-19 - l'applicazione di sanzioni amministrative e/o accessorie (chiusura dei locali) per l'infrazione alle disposizioni (anche) dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del detto decreto.
Tradotto, in caso di violazione delle disposizioni cui al DPCM del 3 dicembre, le sanzioni saranno le stesse cui al citato DL 33/2020 (che richiama, a sua volta, il DL 19/2020).
Il DL 158 del 2 dicembre scorso, poi, ha previsto che, nel periodo compreso tra il 21 dicembre 2020 e il 6 gennaio 2021, ci saranno restrizioni alla mobilità delle persone tra Regioni, mentre nei giorni del 25 e del 26 dicembre, e del primo gennaio, anche tra i Comuni.
Inoltre, con riguardo all'intero territorio nazionale, il Presidente del Consiglio potrà, in deroga al sistema di classificazione di rischio regionale e dei relativi limiti proporzionali cui all'algoritmo, applicare anche misure più restrittive, attingendole da quelle previste dall'articolo 1, comma 2, del D.L. 19/2020. Per intenderci, quelle del primo lockdown.
Tuttavia, il DL 158/2020 non ha previsto, espressamente, sanzioni in caso di sua inosservanza. Si pone, allora, il problema di capire se, in caso di sua violazione, possano trovare applicazione quelle già disposte dal precedente DL 33/2020 che richiama, come detto, il DL 19/2020.
La risposta potrebbe essere affermativa.
Il DL 158/2020, infatti, non pare derogare i menzionati decreti legge ma li andrebbe, in verità, ad integrare prevedendo, con atto normativo di pari rango, specifiche limitazioni alla circolazione estese (per un dato periodo) in tutta Italia. D'altra parte, i citati DL 33 e 19 vengono anche espressamente richiamati nelle premesse del DL n. 158.
I precetti contenuti in quest'ultimo DL (quali il divieto di uscire dalle Regioni e dai Comuni durante il periodo natalizio), inoltre, sono già disciplinati (e sanzionati) nei precedenti decreti legge (rispettivamente negli articoli 5 e 2).
Da questo punto di vista, quindi, potrebbero trovare applicazione - in caso di violazione del DL 158/2020 - proprio le sanzioni amministrative già disposte nei precedenti decreti legge (a meno che il fatto costituisca reato differente da quello cui all'articolo 650 c.p.).
Ciò, sarebbe pur anche conforme all'art. 1 della L.689/81, rispettandone i principi di legalità, di irretroattività e del divieto di applicazione analogica.
Di converso, laddove dovessero ritenersi non applicabili le richiamate sanzioni amministrative, si determinerebbe una riviviscenza dell'art. 650 c.p. in caso di violazione delle misure restrittive cui al DL 158/2020. Ed il comportamento, allora, integrerebbe un illecito penale.
Questa ipotesi, però, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza ed eguaglianza sanciti dall'art. 3 comma 1 della Costituzione, nonché del conseguente criterio dell'irragionevolezza del differente trattamento sanzionatorio per fattispecie analoghe (casi di ingiustificata discriminazione sanzionatoria). Principio, questo, già ribadito dalla Corte Costituzionale in ambito penalistico.
In pratica, non sarebbe conforme alla costituzione prevedere che, una medesima condotta, possa essere punita a volte con sanzione amministrativa (come nei precedenti decreti legge citati), ed altre con sanzione penale ai sensi dell'art. 650 c.p. (DL 158/2020).
Inoltre, il riferimento all'art. 650 c.p. potrebbe violare anche il principio costituzionale di “proporzione tra illecito e sanzione”, con riguardo alle sanzioni amministrative previste per gli stessi fatti.
Anche in questo caso, infatti, la Corte Costituzionale, in sede penale, ha osservato più volte che “il principio di uguaglianza” esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali.
In talune decisioni, inoltre, è anche affiorata la considerazione del principio di proporzionalità, inteso non soltanto quale proporzione tra gravità del fatto e sanzione penale bensì anche, e soprattutto, quale criterio generale di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalità da perseguire, ritenendo la sanzione penale una estrema ratio (Corte Costituzionale n. 487 del 1989).
Comunque, al di là del ragionamento interpretativo, resta il fatto che il legislatore dovrebbe prestare più attenzione nella redazione delle norme - quanto meno sul piano della chiarezza e della completezza espositiva - evitando al cittadino di dover ricorrere a soluzioni interpretative che si presentano complesse anche ad un professionista del diritto.
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