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Nuovo Ordine Mondiale digitale di Xi Jinping. E l'Italia?

Interconnettere i Paesi con tecnologia cinese di sorveglianza di massa, sostenere le autocrazie globali, generare dipendenza tecnologica, infiltrarsi nelle reti critiche nazionali per lo spionaggio di stato e vincere una eventuale guerra elettronica. Queste le mire di Xi Jinping


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G e N Iuvinale


Tecnologia 5G, smart city, data centers, videocamere di sorveglianza che prevedono il riconoscimento facciale. Strumenti, questi, con tecnologia prevalentemente cinese, che rientrano nella quotidianità degli italiani. Ma cosa si rischia?


Generare una dipendenza tecnologica

Integrando proprie tecnologie nell’infrastruttura digitale locale, Pechino prepara il terreno per costruire nuove dipendenze commerciali a lungo termine. In quanto prime arrivate sul mercato delle tecnologie emergenti come il 5G e le città intelligenti, le società di telecomunicazioni cinesi riescono a bloccare gli utenti con le loro offerte vantaggiose, escludendo tutti i concorrenti.



Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, centrosinistra e Luigi Di Maio, vice primo ministro italiano, centrodestra, si stringono la mano durante la firma del memorandum d'intesa sulla Belt and Road Initiative cinese, mentre Xi Jinping, presidente cinese, e Giuseppe Conte, primo ministro italiano, guarda a Villa Madama a Roma, Italia, sabato 23 marzo 2019. Xi Jinping ha reclutato il governo populista italiano nel suo progetto globale di sviluppo della Belt and Road, con la firma di un accordo che ha suscitato preoccupazioni negli Stati Uniti e nell'Unione Europea sulle potenze asiatiche spingono per il dominio economico. Fotografo: Alessia Pierdomenico/Bloomberg tramite Getty Images


Queste società, come Huawei e ZTE, sono anche in una posizione unica per definire nella regione standard tecnici che plasmeranno la struttura a lungo termine dell’economia digitale e influenzeranno le tecnologie utilizzabili all’interno della sua infrastruttura.

Oltre a formare dipendenze commerciali a lungo termine, la strategia della Cina è sempre guidata dal desiderio di ottenere i dati degli utenti locali.

Le aziende ICT cinesi, inoltre, sono diventate ancora più importanti attraverso la Digital Silk Road, la componente digitale della Belt and Road Initiative (BRI), il piano multimiliardario di Pechino per migliorare la propria connettività ed aumentare gli scambi con i Paesi partner.


La Via della Seta digitale, in particolare, comporta il trasporto di infrastrutture digitali avanzate nei Paesi BRI, con tecnologie come cavi in fibra ottica, data centers, reti 5G, piattaforme di e-commerce, intelligenza artificiale e servizi di cloud computing e l’architettura digitale che alimenta e sostiene le città intelligenti.


La Via della Seta digitale mira a costruire quella che Pechino chiama “una comunità con un futuro condiviso nel cyberspazio”.


Tuttavia, gli Stati Uniti hanno più volte messo in guardia la comunità internazionale dal rischio derivante dalla tecnologia cinese: con il pretesto di progetti di sviluppo di ‘città intelligenti’, Huawei e ZTE possono esportare in regimi totalitari di tutto il mondo gli stessi strumenti orwelliani che forniscono al PCC per sorvegliare le persone in Cina.


E dove si sviluppa la BRI, la Cina è sistematicamente coinvolta nella costruzione di infrastrutture di telecomunicazioni. Sempre con i campioni nazionali Huawei e ZTE, Pechino commercializza proprie tecnologie come alternative economicamente valide rispetto a quelle prodotte in Europa o negli Stati Uniti. E spesso queste tecnologie vengono anche donate dalle imprese cinesi.


Sostenere tecnologicamente le autocrazie globali

Il filo conduttore della diplomazia cinese è uno solo: dare ai regimi autoritari gli strumenti tecnologici di cui hanno bisogno per sorvegliare, reprimere e punire i dissidenti. Pechino sta realizzando questo obiettivo in ogni angolo del mondo: America Latina, Africa, Asia Centrale ed Orientale, ecc.


È recente la notizia secondo cui Hawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni, non solo avrebbe creato una struttura di raccolta di informazioni a Cuba, ma starebbe anche aiutando il Paese latino-americano ad opprimere i propri cittadini, con i dipendenti dell'azienda cinese che lavorano per la dittatura latinoamericana.


Huawei, i cui legami con il Partito Comunista Cinese sono noti, dal 2017 è il principale fornitore di tecnologia per la compagnia statale di telecomunicazioni di Cuba.


Secondo uno studio recente, tutto ciò fa parte del sostegno della Cina all'"autoritarismo digitale" e il software di gestione internet eSight di Huawei che filtra le ricerche web sarebbe utilizzato anche in tutta l'America Latina, afferma RFA.


Secondo il senatore statunitense Marco Rubio, quando il popolo cubano ha organizzato massicce proteste nel luglio 2021, il Governo ha controllato e bloccato internet, utilizzando la tecnologia "prodotta, venduta e installata" dalla Cina.


Idem in Venezuela. Anthony Daquin, ex consigliere per la sicurezza informatica presso il ministero della Giustizia venezuelano, ha dichiarato che "Chiunque creda che ci sia privacy nelle comunicazioni venezuelane via e-mail, Twitter, WhatsApp, Facebook ed Instagram si sbaglia. Tutti questi strumenti sono "totalmente soggetti all'interferenza del governo".


Scrive VOA che tra il 2002 e il 2008, Daquin ha fatto parte di una delegazione inviata dall'ex presidente Hugo Chávez in Cina per apprendere come Pechino utilizza il software per identificare i cittadini cinesi e per implementare un sistema simile in Venezuela.


Daquin ha anche detto che "il ruolo della Cina negli ultimi anni è stato quello di fornire tecnologia e assistenza tecnica per aiutare il governo venezuelano ad elaborare grandi quantità di dati e monitorare ciò che il governo considera nemici dello stato". "Hanno sistemi di telecamere TV, impronte digitali, riconoscimento facciale, sistemi di algoritmi di testo di internet e chat", ha aggiunto l'ex consigliere venezuelano.


Diverse società tecnologiche cinesi sono attive in Venezuela, tra cui ZTE, Huawei e China Electronics Import and Export Corporation (CEIEC), con quest'ultima sanzionata dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nel 2020 per il suo "lavoro" a favore del presidente Nicolas Maduro volto a "limitare il servizio internet" e "condurre sorveglianza digitale e operazioni informatiche contro oppositori politici".


Anche l'infrastruttura internet di Cuba è stata costruita con apparecchiature acquistate dalla Cina. Secondo un rapporto pubblicato nel 2020 dall'organizzazione svedese Qurium, il software di gestione della rete eSight di Huawei è stato trovato nella rete internet cubana con lo scopo di aiutare a filtrare le ricerche web.


In un rapporto del 2021 sulla censura di internet, Freedom House ha affermato che funzionari venezuelani, insieme a rappresentanti di altri 36 Paesi, tra cui Arabia Saudita e Siria, hanno partecipato a corsi di formazione e seminari ospitati dal governo cinese sui mezzi di informazione e sulla gestione delle informazioni.

Il rapporto ha concluso che la Cina organizza forum come la Conferenza mondiale su internet del 2017 "per trasmettere le sue norme ai governi di tendenza autoritaria".


Capitolo Africa.

Nel settembre 2018, Gibuti ha avviato la costruzione del sistema di sorveglianza in collaborazione con il China Railway Electrification Bureau Group di proprietà statale. Il sistema di videosorveglianza copre le principali aree urbane, aeroporti, moli e porti della città di Gibuti.



Il presidente cinese Xi Jinping stringe la mano al presidente di Gibuti Ismail Omar Guelleh prima di un incontro nella Grande Sala del Popolo a Pechino, 28 aprile 2019. Madoka Ikegami/Pool via Reuters

Con la vendita di tecnologie di sorveglianza avanzate e l’esportazione di un quadro più repressivo per la governance di internet, Pechino diffonde il proprio modello politico autoritario ai governi africani.


Questi sforzi includono la promozione della Via della seta digitale attraverso la quale ha notevolmente ampliato la vendita al continente africano delle sue telecomunicazioni e di altre tecnologie digitali. Attraverso anni di investimenti mirati, importanti aziende tecnologiche cinesi come Huawei, ZTE ed Hikvision sono arrivate a dominare il mercato delle telecomunicazioni africano. Alla fine di maggio 2019, Huawei aveva costruito fino al 70% dell’infrastruttura tecnologica delle informazioni africana.

Il predominio della Cina nel mercato tecnologico africano ha consentito al modello di tecno-autoritarismo cinese di diffondersi nel continente.

Per questo, Pechino ha fornito ai governi africani un progetto sulla governance di internet, ha formato la Polizia africana e il personale di sicurezza informatica sull’uso delle tecnologie di sorveglianza avanzate – aiutando anche a reprimere l’opposizione politica – e ha venduto tecnologie di sorveglianza abilitate digitalmente.

Attraverso società di telecomunicazioni nazionali, la Cina ha fornito ai regimi autocratici africani assistenza diretta nella repressione di figure politiche di opposizione.

Nello Zambia, ad esempio, i tecnici Huawei avrebbero aiutato il governo locale ad accedere nei telefonini e nelle pagine Facebook di un gruppo di blogger che gestiva un importante sito web dell’opposizione che aveva ripetutamente criticato l’ex presidente Lungu.


Pechino ha aiutato anche l’Uganda a reprimere il dissenso interno. Nel 2018, le autorità ugandesi avrebbero arruolato tecnici Huawei per aiutarle a penetrare nelle comunicazioni digitali di Bobi Wine, un membro dell’opposizione in Parlamento che nel 2021 si è candidato contro il presidente Yoweri Museveni. Wine è stato poi arrestato insieme a decine di suoi sostenitori, mentre Museveni è ancora al potere dal 1986.


La Cina sta contribuendo alla crescita dell’autoritarismo digitale in Africa anche attraverso la vendita di “città intelligenti”, un termine usato per descrivere la sorveglianza digitale ad alta tecnologia apparentemente utilizzata per combattere la criminalità e migliorare l’efficienza del governo.


In particolare, le città intelligenti utilizzano tecnologie connesse tra cui telecamere anche per il riconoscimento facciale, sensori e dispositivi GPS per raccogliere un’ampia varietà di dati per applicazioni di gestione urbana che vanno dalla moderazione del flusso del traffico alla prevenzione della criminalità. I sistemi Safe City forniscono soluzioni immediate alle piattaforme per integrare e gestire vari strumenti di sorveglianza. Almeno nove Paesi africani utilizzano sistemi per città sicure forniti da aziende cinesi: Botswana, Costa d’Avorio, Ghana, Kenya, Mauritius, Marocco, Sudafrica, Uganda e Zambia.

Tali tecnologie, però, possono essere utilizzate (come spesso accade) anche in modi che contravvengono agli standard internazionali in materia di diritti umani sulle libertà civili e politiche.

Secondo quanto riferito di recente dal The Guardian, in Asia la Cina starebbe collaborando con il governo militare del Myanmar nella costruzione di un posto di sorveglianza sull'isola di Great Coco. Nel dicembre 2020, il Myanmar ha applicato 335 telecamere di sorveglianza Huawei in otto comuni nell'ambito del suo progetto "Città sicura".


Le telecamere hanno funzioni di riconoscimento facciale ed avvisano le autorità se le persone sorvegliate sono ricercate. Nel luglio 2022, Reuters ha riferito che il governo militare del Myanmar ha installato telecamere di fabbricazione cinese con funzionalità di riconoscimento facciale nelle città di tutto il Paese. L'attrezzatura è stata acquistata dalle aziende cinesi Dahua, Huawei ed Hikvision.


Nel febbraio 2023 è stato anche confermato che la Cina ha una base navale a Ream, in Cambogia, a dimostrazione dei legami di Pechino con i dittatori locali.


Secondo RFA, a giugno 2019 il vice commissario del commissariato generale della polizia del Regno di Cambogia e capo della polizia municipale di Phnom Penh ha visitato aziende cinesi tra cui Huawei e Hikvision, esprimendo interesse per i sistemi di sorveglianza cinesi "Città sicure" e per altre attrezzature di polizia che spera di introdurre per "migliorare la sicurezza pubblica e per combattere i crimini".


Nell'ottobre 2022, secondo Voice of America, attivisti per i diritti umani cambogiani sospettavano che la polizia locale cambogiana utilizzasse droni e telecamere di sorveglianza fornite da società cinesi per monitorare i manifestanti per i diritti dei lavoratori.


Il ruolo della Belt and Road come veicolo per la fornitura della tecnologia di sorveglianza

In Pakistan, la Cina ha installato la tecnologia cinese per la sorveglianza domestica almeno dal 2016. Da allora, il cosiddetto progetto "Città sicura" ha iniziato le operazioni a Islamabad, in collaborazione con Huawei ed altre società cinesi come e-Hualu. Il progetto ha portato alla istituituzione di posti di blocco e sistemi elettronici di polizia lungo le principali arterie cittadine, consentendo il monitoraggio dei veicoli in tutta la città.


Nel 2017, inoltre, Huawei ha collaborato con la Punjab Safe Cities Authority in Pakistan per costruire un sistema cittadino sicuro a Lahore. Il progetto comprende un centro di comando e comunicazione integrato, 200 stazioni di polizia e 100 stazioni base LTE.


In Asia centrale, i sistemi di sorveglianza Huawei e Hualu sono presenti in tutta Dushanbe, apparentemente per combattere ciò che le autorità locali definiscono "terrorismo ed estremismo". Nel maggio 2023, il capo della provincia di Sughd, in Tagikistan, ha incontrato i rappresentanti di Huawei per discutere del suo progetto "Città sicura" da 25 milioni di dollari a Khujand, la capitale provinciale.


Gran parte della fornitura globale cinese di strumenti di sorveglianza interna avviene attraverso l'iniziativa Belt and Road, con la quale Pechino ha inviato tecnologia in Egitto e Nigeria, Uganda, Turchia, Russia, Ucraina, Azerbaigian, Angola, Laos, Kazakistan e Kenya. Tra questi c'è anche la Serbia, dove un dissidente politico ha affermato che l'obiettivo della partecipazione del paese alla Belt and Road Initiative è quello di "dare la caccia... agli oppositori politici".


RFA richiama anche sondaggi che mostrano come in tutto il mondo almeno 79 stati hanno aderito al pacchetto di sorveglianza di Huawei, tra cui democrazie liberali come Italia, Paesi Bassi e Germania.


Il prezzo del 5G cinese

La Cina mira a costruire l’infrastruttura globale per le telecomunicazioni wireless di quinta generazione (5G) come trampolino di lancio per un dominio più ampio nelle tecnologie dell’informazione emergenti e di prossima generazione.


Le aziende cinesi Huawei e ZTE sono due dei fornitori delle apparecchiature 5G che cavalcheranno questa trasformazione tecnologica. Non si tratta semplicemente di società private che operano secondo regole di mercato. Per la Casa Bianca, “Pechino sovvenziona pesantemente Huawei e ZTE, dirette dallo Stato, consentendo a questi colossi delle telecomunicazioni di minare i rivali nella corsa alla costruzione di reti 5G in tutti i continenti”.


Bisogna essere consapevoli che i prodotti cinesi 5G forniti a prezzi ridotti nascondono un prezzo invisibile: la minaccia alla sicurezza nazionale, la violazione delle regole di mercato ed il rischio di consentire un dominio cinese del cyberspazio.


Le leggi cinesi obbligano Huawei e ZTE a raccogliere informazioni dai Paesi in cui operano e a condividerle con Pechino. Le nazioni che ricorrono a queste aziende affrontano, dunque, sostanziali minacce all’integrità della rete, alla privacy dei dati, alla stabilità economica e alla sicurezza nazionale.

Considerato che le operazioni militari, lo spionaggio e la guerra politica dipendono da informazioni e dati, la Cina investe ingenti somme per ottenere vantaggi nel cyberspazio, con un unico fine: raggiungere un dominio mondiale nelle tecnologie dell’informazione di prossima generazione e vincere una eventuale guerra elettronica. C’è quindi un rischio concreto nel ricorrere ad un’azienda cinese per la fornitura di infrastrutture critiche.


L’ingresso di una società cinese fornitrice di tecnologia 5G nel mercato interno equivale ad autorizzare un’infiltrazione di Pechino.

Nel 2017, infatti, in Cina è stata adottata la legge sull’intelligence nazionale che dispone l’obbligo, per tutte le organizzazioni e i cittadini cinesi, di collaborare con il governo per questioni di sicurezza.


A proposito della guerra elettronica...

Secondo il The New York Times, l'amministrazione Biden andrebbe alla ricerca di un codice informatico dannoso che la Cina avrebbe infiltrato nelle reti informatiche che controllano la distribuzione elettrica, i sistemi di comunicazione e le forniture idriche che alimentano le basi militari negli Stati Uniti e in tutto il mondo.


La scoperta del malware ha sollevato il timore che gli hacker cinesi, che probabilmente lavorano per l'Esercito popolare di liberazione (PLA), abbiano inserito un codice progettato per interrompere le operazioni militari statunitensi in caso di conflitto, anche qualora Pechino si muoverà contro Taiwan nei prossimi anni.


I primi indizi pubblici della campagna malware sono emersi alla fine di maggio, quando Microsoft ha dichiarato di aver rilevato un misterioso codice informatico nei sistemi di telecomunicazione a Guam, l'isola del Pacifico con una vasta base aerea americana e altrove negli Stati Uniti. Ma quella si è rivelata essere solo un parte limitata del problema che Microsoft può esaminare attraverso le sue reti.


Secondo il The New York Times, la scoperta del malware ha dato il via a una serie di riunioni nella Situation Room alla Casa Bianca, mentre alti funzionari del Consiglio di sicurezza nazionale, del Pentagono, del Dipartimento per la sicurezza interna e delle agenzie di spionaggio nazionali tentano ancora di comprendere la portata del "virus" per poi tracciare una risposta.


Due settimane fa, inoltre, i funzionari del governo degli Stati Uniti hanno affermato che un'operazione di hacking cinese aveva intercettato account di posta elettronica associati a 25 organizzazioni, comprese agenzie governative, prese di mira dal governo cinese durante un'intrusione nella sicurezza del cloud di Microsoft a metà maggio. Microsoft ha risposto in un post sul blog, affermando che il colpevole era un attore con sede in Cina.


Il caso Italia

In Italia nel 2016 è stato siglato un accordo di progetto Smart City tra Huawei Italia, Regione Autonoma della Sardegna e CRS4. Nel 2018, il sito web di CRS4 ha rivelato che l'accordo riguardava il "Joint Innovation Center (JIC) del Pula Technology Park, dedicato ai progetti di ricerca Smart & Safe City". In quel momento il centro era diventato operativo e le tre parti hanno firmato un altro accordo. Il contratto prevedeva "un nuovo piano di attività nei settori della sanità, dei trasporti, della gestione dei rifiuti, della logistica, della sicurezza e dell'industria 4.0 con il coinvolgimento del Comune di Cagliari, delle istituzioni locali e dell'ecosistema delle piccole e medie imprese".


Un contratto Huawei può quindi segnalare un'affiliazione entry-level con il Nuovo Ordine Mondiale di Xi Jinping, dove " il futuro e il destino di ogni nazione e di ogni paese sono strettamente interconnessi " grazie alla tecnologia cinese invasiva che favorisce l'oppressione, affermano Aaron Rhoder, senior fellow della Common Sense Society e presidente del Forum for Religious Freedom-Europe, e Cheryl Yu, ricercatrice senior presso la Common Sense Society.


Xi Jinping, presidente cinese, a sinistra, e Giuseppe Conte, primo ministro italiano, arrivano per la firma del memorandum d'intesa sulla Belt and Road Initiative cinese a Villa Madama a Roma, Italia, sabato 23 marzo 2019. Xi Jinping reclutato Il governo populista italiano nel suo progetto globale di sviluppo della Belt and Road, con la firma di un accordo che ha suscitato preoccupazioni negli Stati Uniti e nell'Unione Europea per la spinta delle potenze asiatiche al dominio economico. Fotografo: Alessia Pierdomenico/Bloomberg tramite Getty Images

L'Italia, inoltre, è il primo ed ancora oggi l’unico Paese del G7 ad avere sottoscritto l’accordo di adesione alla Belt and Road.


Siamo sicuri che questa sia davvero la strada giusta?



Riproduzione riservata Extrema Ratio (citare la fonte)


 
 
 

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