Scrive l'imperatore Adriano: la mia vita era rientrata nell'ordine, non l'impero.
Il mondo che avevo ereditato somigliava a un uomo nel fiore degli anni, ancora robusto, nel quale però l'occhio del medico scorge indizi impercettibili di logorio, come chi è appena uscito dagli spasmi di una malattia grave.
Roma non è più Roma: dovrà riconoscersi nella metà del mondo o perire?
"Tellus stabilita" sognerebbe l'imperatore Adriano, come nelle sue "Memorie"; con un editto avrebbe segnato i confini: "la terra è stata stabilita".
Pace...
Ma oggi, per l'impero della democrazia tutto ciò è molto, molto difficile.
Quell'impero è sfidato da forti totalitarismi, dalla guerra.
"Trahit sua quemque voluptas": ciascuno la sua china; ciascuno il suo fine, la sua ambizione se si vuole, il gusto più segreto, l'ideale più aperto.
Per l'imperatore Adriano è "il bello": egli si sentiva responsabile della bellezza del mondo.
Humanitas, Felicitas, Libertas... sono le parole incise sulle monete romane: è l’aspirazione umana alla felicità e del compito che l'imperatore (o di chi governa) si sente chiamato ad assolvere per il popolo.
Ancora oggi, dopo millenni, è così.
Adriano, tuttavia, pensava in greco.
Ha amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola si afferma il contatto diretto e vario della realtà, l’ha amata perchè quasi tutto quello che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco.
"L’impero, l’ho governato in latino; in latino sarà inciso il mio epitaffio, sulle mura del mausoleo in riva al Tevere; ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto".
Se così è, l'impero va governato in latino; "si vis pacem, para bellum": se vuoi la pace, prepara la guerra.
Humanitas, Felicitas, Libertas...
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