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Immagine del redattoreGabriele Iuvinale

Il de profundis della von der Leyen all'UE

Siamo davvero una colonia cinese in procinto di essere depredata da Pechino?


Focus on European Union


N e G Iuvinale


Sono parole importanti quelle pronunciate oggi (18 aprile) da Ursula von der Leyen al Parlamento Europeo. In un passaggio del suo discorso, infatti, la Presidente della Commissione ha messo il dito nella "piaga cinese", affermando che

"Negli ultimi decenni la Cina è diventata una potenza economica e un attore globale chiave. Ora sta riducendo la sua dipendenza dal mondo mentre aumenta la dipendenza del mondo da se stesso. Dobbiamo sviluppare un nuovo approccio".

La von der Leyen, dunque, almeno formalmente prende le distanze dal Presidente francese Macron che nel suo recente incontro con Xi Jinping si è dichiarato grande amico del "dittatore orientale" e pronto a realizzare con la Cina affari d'oro.

Ma quanto valgono le parole della Presidente della Commissione?

Poco, se non nulla. Vox clamantis in deserto.

Importanti Stati europei sono già una colonia cinese pronti per essere depredati.

Come più volte evidenziato, la governance europea presenta vizi originari che, nel contesto geopolitico internazionale, la rendono una sorta di "fantasma giuridico" incapace di far fronte alla più grande sfida che la storia recente le pone: la geopolitica imperialista ed assertiva della Cina nazionalista di Xi Jinping e dei pericoli ad essa connessi.

La leva geopolitica del fare "massa critica" non vale per alcuni settori critici. La sicurezza nazionale - da intedersi quale tutela dei diritti dei singoli nonchè di una libera e sicura economia pubblica e privata - per esempio, è materia di competenza esclusiva dei singoli Stati in cui ciascuno può liberamente decidere con chi fare affari, anche se la controparte dovesse essere uno Stato totalitario e genocida come la Cina attuale. Questa, per esempio, è da sempre la posizione mercantilista della Germania.

De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam ...

Già con la Risoluzione del 16 settembre 2021 su una nuova strategia UE-Cina (2021/2037(INI)) (2022/C 117/05) - nel tentativo di chiudere definitivamente le porte ad una possibile sottoscrizione del CAI (l'accordo commerciale globale tra Bruxelles e la Cina le cui trattative sono durate 7 anni, bruscamente interrotte a seguito di reciproche sanzioni adottate ad inizio 2021) - il Parlamento europeo aveva affermato la condanna nei confronti di Pechino, invitando gli Stati membri e la Commissione ad avere un atteggiamento molto guardingo nei confronti di Pechino. Senza dimenticare che proprio a fine 2021 (cioè a pochi mesi dall'invasione russa dell'Ucraina del febbraio 2022), la Merkel, ormai a fine mandato come Presidente della Commissione europea, e Borrell, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, con un colpo di mano avevano tentato di finalizzare la sottoscrizione del CAI, fortunatamente svantata per la ferrea opposizione dell'allora Presidente del Parlamento europeo David Sassoli.

Nella risoluzione del settembre 2021 si condannava anche l'atteggiamento spregiudicato di numerosi Stati europei che in quel momento (senza peraltro informare la Commissione, come l'italia con la sottoscrizione nel 2019 del MoU e l'ingresso nella BRI) avevano sottoscritto accordi bilaterali con la Cina, eludendo l'espresso richiamo della Commissione di evitarli in quanto avrebbero indebolito la forza dell'Unione e fatto il gioco di Pechino del divide et impera.

E l'UE non era l'unica che in quel momento aveva deciso di prendere le distanze dalla Cina. Dall'altra parte del globo, infatti, con la sua politica dell "America First", anche la nuova amministrazione Trump si era determinata a cambiare completamente regime nei confronti di Pechino, considerato "nemico" economico e militare.

"Il problema principale da affrontare non è la Cina (Pechino ci ha già dichiarato guerra) ma i nostri politici che continuano ad avere un comportamento omissivo e talvolta complice di un dittatore genocida. E se hai paura della coercizione economica di Xi, significa che sei già colonizzato".

Come si è evidenziato nel saggio "La Cina di Xi Jinping - Verso un nuovo ordine mondiale sinocentrico?", Pechino ha utilizzato incentivi economici per indurre i Paesi europei a perseguire relazioni amichevoli con la Cina. Ha anche incoraggiato l’idea di una autonomia strategica europea, ovvero l’indipendenza europea dagli Stati Uniti nei settori della sicurezza e della difesa, cercando nello stesso tempo di dividere l’Europa internamente. Sia nella sfera politica che in quella economica, Pechino ha coltivato con cura le élite europee e le reti di influenza. In Germania, l’industria automobilistica è diventata fortemente dipendente dal mercato cinese. Fino a poco tempo fa, l’ex Primo Ministro britannico David Cameron dirigeva un fondo di investimento legato alla Belt and Road Initiative (BRI) cinese. Il capo della Ericsson, la società di elettronica svedese, ha fatto pressioni sul ministro del Commercio del suo Paese per consentire a Huawei, il suo concorrente cinese, di entrare nel suo mercato come un modo per proteggere gli interessi commerciali della Ericsson in Cina. Aziende europee hanno continuato a esportare armi e beni a duplice uso a Pechino, nonostante l’embargo dell’UE sulle armi a quel Paese. Ad esempio, almeno fino al 2020 la società tedesca MTU Aero Engines e la filiale francese della controllata Volkswagen MAN vendevano alla Cina i silenziosi motori diesel che hanno aiutato la PLA a migliorare sottomarini stealth e navi da guerra. Pechino ha anche promesso di fare cospicui investimenti in Europa, soprattutto nel centro e nell’est del continente. Prima della BRI, a Budapest nel 2012 la Cina ha istituito un quadro di cooperazione con 16 Paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO), definito comunemente “16+1” (poi “17+1” e ora “14+1” dopo l’uscita della Lituania nel 2021 e di Estonia e Lettonia l’11 agosto 2022, in relazione alla posizione della RPC sul conflitto russo-ucraino). Quando la Grecia si è unita nel 2019, Xi Jinping l’ha descritta come la “testa di drago” di un corridoio strategico terra-mare tra Europa e Russia. Attualmente, del quadro di cooperazione “14+1” fanno parte 5 Stati balcanici (Albania, Bosnia e Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) e 9 Stati membri dell’UE (Repubblica Ceca, Ungheria, Grecia, Polonia, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Croazia e Slovenia).

Ciò comporta un rischio per la coesione dell’azione dell’UE.

Sebbene inizialmente ci fossero grandi aspettative per ingenti investimenti cinesi a beneficio di tutti i Paesi del gruppo, la maggior parte di essi è andata alla Serbia, uno Stato non membro dell’UE.


Dall"Europa first" al tradimento europeo

Alla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Unit finanziarono la ripresa europea con il famoso Piano Marshall di oltre 14 miliardi di dollari. L'allora Segretario di Stato USA, George Marshall, affermò che l'Europa avrebbe avuto bisogno almeno per altri 3-4 anni di ingenti aiuti da parte statunitense e che, senza di essi, la gran parte del vecchio continente avrebbe conosciuto un gravissimo deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali.

Tuttavia, non tutti erano d'accordo nel Congresso statunitense. Nel 1951, in particolare, il famoso senatore Robert A. Taft, conosciuto come “Mr. Republican”, pubblicò un libro intitolato A Foreign Policy For Americans, criticando gli europei occidentali per non aver pagato per la propria difesa e avvertendo che la Cina era il nemico numero uno. "Asia First", si affermava.

Gli Stati Uniti hanno anche pesantemente investito nella riunificazione tedesca.

In Europa vrebbero voluto un alleato fedele, ma la Germania non lo è stato completamente. Berlino ha fatto del mercantilismo l'unica fede da professare. Ed oggi la sua economia risulta drammaticamente dipendente da quella cinese.

Come nella seconda guerra mondiale - quando i più importanti capitalisti tedeschi si dichiararono non nazisti, arricchendosi con il nazional-socialismo di Hitler, come Krupp, Tyssen e Bosch - la Merkel ha fatto affari con i nemici della democrazia come la Russia e la Cina, condizionando di conseguenza tutta la "politica estera" europea.

Anche la Francia di Macron è sempre più impegnata con Pechino a perseguire un'evanescente grandeur del Paese.

A queste condizioni, l'UE non evolverà in nulla di politicamente unito anzi, al contrario, resterà il limes in perenne "conflitto" interno.
Il problema tedesco del '900, dunque, è ancora tra noi: il feldgrau è stato sostituito con l'abito grigio.

I 3 pilastri Brzezinski

Per più di due anni il mondo è stato assorbito da discussioni sui problemi legati alla pandemia ma, nel frattempo, in tutta la cosiddetta “Eurasia” si sono verificati una serie di accadimenti molto gravi. Nel febbraio 2022 la Russia ha lanciato brutalmente un’invasione su larga scala dell’Ucraina. Pechino ha continuato a portare avanti la Belt and Road Initiative e nel 2021 ha firmato un accordo da 400 miliardi di dollari con Teheran per scambiare la costruzione di infrastrutture con il petrolio iraniano, espandendo la potenza militare cinese nel Golfo Persico. Nell’agosto 2021 in Afghanistan i guerriglieri talebani hanno preso possesso di Kabul, ponendo fine all’occupazione internazionale a guida americana durata 20 anni. Più a est, in alto nell’Himalaya, ingegneri dell’esercito indiano hanno scavato tunnel e posizionato l’artiglieria per respingere futuri scontri con la Cina. Navi della Marina americana hanno intensificato la navigazione nel Mar Cinese Meridionale contro le illecite rivendicazioni di Pechino verso Taiwan.

Come siamo arrivati a questo punto?

Alla fine degli anni ’90, all’apice dell’egemonia globale degli Stati Uniti, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, lanciò un severo avvertimento sui tre pilastri del potere necessari per preservare il controllo globale di Washington.

Conosceva bene il pericolo perché aveva studiato i regimi totalitari comunisti.

l'URSS e la Cina dovevano essere chiuse in una cortina di ferro, attraverso una catena d'acciaio che avrebbe dovuto abbracciare l'Eurasia e il litorale del Pacifico a sud della Cina: quella che i cinesi chiamano la prima catena di isole.

Il primo pilastro, l’Europa: gli Stati Uniti avrebbero dovuto evitare la perdita della loro “perch on the Western periphery” dell’Eurasia. Il secondo, l’Asia Centrale: lì avrebbero dovuto bloccare l’ascesa di “un’unica entità assertiva”, nell’enorme “spazio di mezzo”. E infine il terzo pilastro, il litorale del Pacifico: avrebbe dovuto impedire “l’espulsione dell’America dalle sue basi offshore” su quell’oceano.

Con un grave errore di calcolo strategico, Washington ha ammesso Pechino all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, stranamente fiduciosa che una Cina compiacente, patria di quasi il 20% dell’umanità e storicamente la nazione più potente del mondo, si sarebbe unita, in qualche modo, all’economia globale senza cambiare l’equilibrio di potere”. Avevano già dimenticato Tienanmen e il tentativo di invasione di Taipei da parte della Cina durante l'era Clinton.

Durante i 15 anni successivi all’adesione all’OMC, le esportazioni di Pechino negli Stati Uniti sono cresciute di quasi cinque volte, fino a raggiungere i 462 miliardi di dollari; e nel 2014 le sue riserve in valuta estera sono aumentate da soli 200 miliardi di dollari a 4 trilioni di dollari. Un vasto tesoro che Pechino e Xi Jinping hanno utilizzato per lanciare la loro Belt and Road Initiative; con questo processo Pechino iniziò la demolizione sistematica dei

tre pilastri del potere geopolitico di Brzezinski.

La Cina ha ottenuto finora il suo successo più sorprendente in Europa, a lungo un bastione chiave della potenza globale americana. Come parte di una catena di 40 porti commerciali che sta costruendo o ricostruendo intorno all’Eurasia e all’Africa, Pechino ha acquistato in Europa importanti strutture portuali.

Con la visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping nel 2019, l’Italia è diventata il primo membro del G-7 ad aderire ufficialmente all’accordo della Belt And Road. E, nel frattempo, Pechino e Mosca si sono avvicinate sempre più, anche attraverso joint ventures energetiche, manovre militari e vertici periodici. Putin e Xi, inoltre, hanno ripreso l’alleanza Stalin-Mao, hanno siglato un “Patto d’acciaio” rivelandolo al mondo durante le Olimpiadi di Pechino ed hanno creato una partnership strategica nel cuore dell’Eurasia.

Brzezinski fissò i 3 pilastri: 2 sono caduti e per il futuro l'eurasia sarà controllata dal blocco sino-russo con divisione dei compiti e asimmetria di potere.

L'ultimo è la prima catena di isole che la Cina non dovrà mai superare, tra le quali Taiwan.

E' il momento, dunque, dell'Asia First.

Solo gli Stati Uniti possono salvare l'indipendenza dell'Ue, assicurando l'autonomia di Taiwan anche con la forza militare. L'isola è l'ultimo punto di sicurezza strategico rimasto in piedi. Se anche questo cade, l'UE sarà cinese.

L'Unione Europea, pertanto, dovrebbe tornare ad essere un alleato fedele degli americani, condividendo con loro una strategia dual use, militare ed economica a tutto tondo, tentando di mettere in sicurezza anche le filiere critiche in mano cinese.

Il saggio sulla "Cina di Xi Jinping" segue proprio questo filo conduttore. Ed in tutto questo, l'UE non ha un concetto di difesa e/o di sicurezza. Le ultime visite dei vari Capi di stato europei testimoniano la dipendenza economica e politica dalla Cina.

Il mercantilismo, dunque, conta oltre ogni bene, anche della nostra libertà fisica ed economica.



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