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AUKUS belli

Aggiornamento: 23 set 2021


Mentre l'alleanza transatlantica della Nato rimane pur sempre una pietra angolare della politica estera degli Stati Uniti, l'episodio attuale evidenzia che non è più quella dominante. Per l'UE ci sarà bisogno di una necessaria riflessione tra i suoi leader e un cambio di rotta





di N. Iuvinale

I leader di Australia, Stati Uniti e Regno Unito hanno annunciato la creazione di una partnership giovedì scorso.

Il compito principale dell'unione sarà quello di contenere la Cina e di garantire la libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale, che Pechino considera la sua zona di influenza esclusiva.

Il primo passo AUKUS sarà l'assistenza degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nella fornitura di sottomarini nucleari all'Australia.

Gli australiani hanno stracciato un contratto multimiliardario precedentemente concluso con la Francia.

Ovviamente a Parigi, le azioni degli alleati sono state definite delle "pugnalate alle spalle" e la Francia ha ritirato i suoi ambasciatori in USA e Australia.

Pechino, invece, ha avvertito del pericolo di un ritorno alla “mentalità dell'era della Guerra Fredda”.

Il tutto, arriva anche in un momento politico molto delicato, con Emmanuel Macron desideroso di dimostrare la sua posizione internazionale in vista delle elezioni presidenziali del 2022 e, soprattutto, in pendenza delle elezioni tedesche di domenica.

Negli Stati Uniti, l'idea che la Cina rappresenti una minaccia è l'unica questione su cui repubblicani e democratici, sostenitori di Trump e Biden, sono effettivamente d'accordo.

Le speranze all'alba degli anni 2000 che l'ingresso della Cina nel sistema economico globale (WTO) promuovesse inesorabilmente le libertà politiche interne di Pechino e un tranquillo partner globale sono definitivamente naufragate.


Come dimostrato in un rapporto dell'ITF "Fondazione per la tecnologia dell'informazione e l'innovazione" statunitense del 2021, mentre la Cina ha mostrato una certa liberalizzazione economica e apertura del mercato nel primo decennio dopo la sua adesione all'WTO.

Dall'arrivo del presidente Xi Jinping, invece, queste riforme sono state ribaltate.

L'aggressivo mercantilismo innovativo della Cina ha danneggiato le economie di altre nazioni, le loro imprese high-tech e lo stesso sistema di innovazione globale.

Anche un saggio dell'Hoover Institution del 2021 a firma di Cai Xia, conferma questo atteggiamento e il nazionalismo di Xi Jimping che, unito all'insicurezza di fondo sul futuro della sua legittimità politica, ha portato la Cina a commettere gravi violazioni dei diritti umani come il genocidio dei musulmani Uiguri nello Xinjiang e ad aumentare le tensioni nel Mar Cinese Meridionale, nel Mar Cinese Orientale e lo stretto di Taiwan.

Ma mentre l'alleanza transatlantica rimane pur sempre una pietra angolare della politica estera degli Stati Uniti, l'episodio attuale evidenzia che non è, però, più quella dominante.

Dovremmo allora chiederci il perché.

Perché l'Ue appare estranea al confronto e mal attrezzata per la competizione geopolitica insita in questo nuovo contesto strategico.

Per l'UE ci sarà bisogno di una necessaria riflessione tra i suoi leader e un cambio di rotta.

La sua blanda strategia indo-pacifica e la futura adozione delle annunciate normative protezionistiche contro la Cina non basteranno.

Mentre ci dirigiamo verso una fase di transizione incerta in Europa, con le elezioni di domenica in Germania e della Francia il prossimo anno ad oggi non vi è ancora alcun consenso politico tra gli stati.


A Bruxelles (e in molte altre capitali europee) in estate scorsa è cresciuto il risentimento per quello che è stato visto come un tentativo della cancelliera Angela Merkel e del presidente Emmanuel Macron di trasformare le relazioni diplomatiche con la Cina in un affare a tre.

Indiscrezioni raccontano che, durante le videoconferenze tenute tra i tre leader, ci sia stato un appello della Merkel affinché l'UE e la Cina concludano al più presto il loro accordo (CAI) sugli investimenti “oggi congelato” e un proposta che Germania e Francia potrebbero presto unirsi a un partenariato per lo sviluppo tra Cina e paesi africani.

Alla radice di queste tensioni intraeuropee c'è un divario politico su come andare avanti con la Cina che rimane più ampio che mai.


Con il viaggio in Europa di Biden, si è rilevata una certa preoccupazione a Berlino per i contenuti delle dichiarazioni del G7e della NATO che mira a portare avanti il suo piano “United for a New Era 2030).

Dal punto di vista americano, l'accordo globale UE-Cina sugli investimenti (CAI) può considerarsi definitivamente sospeso e non se ne riparlerà per anni.

Ma anche gli stati uniti sono estremamente preoccupati per l'atteggiamento dell'UE.

Non è passato inosservato, ad esempio, che Josep Borrell capo della politica estera dell'UE ha promesso di allineare la strategia di connettività dell'unione con l'iniziativa “Belt and Road della Cina” durante un incontro con il suo omologo cinese Wang Yi in Uzbekistan a fine luglio scorso.

Ci sono, quindi, preoccupazioni americane e di alcune capitali europee su quello che un potenziale governo tedesco che continui l'opera della Merkel significherebbe per la cooperazione transatlantica sulla Cina.

Domenica ci saranno le elezioni tedesche; per la formazione della coalizione di Governo ci vorranno, probabilmente, alcuni mesi ed è possibile che la Merkel possa restare in carica per qualche mese ancora.

Auguriamoci che la futura maggioranza di governo della Germania abbia una rinnovata e più forte visione transatlantica dell'ordine liberale occidentale contro qualsiasi forma di totalitarismo.



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