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Dall'Europa solo “metadone”

L'Italia è un Paese tossicodipendente di denaro. Tasse elevate e debito pubblico enorme. E tanti soldi dei contribuenti spesi male, anzi malissimo. Il "rapporto sinallagmatico" (do ut des) è alterato ed il “corrispettivo”, offerto ai cittadini, sono servizi per lo più scadenti. La giustizia è praticamente al collasso. L'inefficienza della Pubblica Amministrazione è sotto gli occhi di tutti, peraltro acclarata anche da dati impietosi come quelli sull'uso - o meglio sul non uso - dei fondi europei. Della scuola neppure a parlarne.

La gestione dell'attuale seconda ondata del coronavirus, invece, fa emergere il non fatto finora. Grave. Evento prevedibile secondo l'ordinaria diligenza, direbbero i giuristi. Fonte di responsabilità omissiva, affermerebbe un giudice in un eventuale, ed improbabile, processo. Questione di priorità. La politica italica si giustificherebbe nell'aver dovuto affrontare il referendum sul taglio dei parlamentari, le impegnative elezioni regionali con le sue estenuanti campagne elettorali ed i complessi bandi dei banchi a rotelle. Il fatturato politico, purtroppo, è la nostra liquidità di cassa, potrebbe essere la degna riposta del tipico Cetto La Qualunque. I partiti altrimenti non sopravviverebbero.

Ma intanto il Paese va avanti da solo. C'è la mamma BCE che sussidia, possiamo stare tranquilli, ci dà il metadone, quello monetario.

Il Mes sanitario, che tanto sarebbe utile per l'acquisto dell'indispensabile materiale medico che scarseggia, non serve. Lo si attiverà quando finiranno i soldi in cassa, ha affermato con nonchalance Di Maio.

Possiamo tranquillamente ricorrere ai titoli di stato che oggi hanno tassi bassissimi, dicono i 5 stelle. Addirittura c'è anche chi sostiene che non rappresenti un ulteriore indebitamento sulle spalle del contribuente.

Il sussidio che viene da Francoforte, almeno qui da noi, ha un effetto “narcotizzante”. La politica continua, irresponsabilmente, a pensare di poter surrogare la mancanza cronica di crescita del Paese - e di riforme - con le solite e dannose politiche del rinvio.

D'altra parte Draghi, all'indomani del lancio del QE nel 2015, ci aveva espressamente avvertito di non perdere assolutamente più tempo. Muoversi nel fare riforme e tornare a crescere. “Ma dai, è uno scherzo”, avrà pensato qualche governante domestico. “Siamo troppo grandi per fallire” e poi la “Germania ha bisogno di noi”. Abbiamo le economie interconnesse. “Devono venderci le loro auto” e “se andiamo in crisi noi vanno in crisi pure loro”. E magari qualcuno si leccherebbe anche i baffi compiaciuto.

Autoassoluzioni italiche, per non dire altro, alle quali una fetta della popolazione finisce anche per credere.

Intanto, in settimana il Fondo Monetario Internazionale ha reso noto il proprio World Economic Outlook di ottobre 2020. Due dati colpisco ictu oculi. Con la risposta fiscale degli Stati alla crisi, il debito pubblico globale è arrivato ad un massimo storico vicino al 100% del PIL. Sul versante europeo, la BCE avrebbe acquistato il 71% di tutte le emissioni di debito pubblico dell'area dell'euro dal febbraio 2020 ad oggi. Acquisti, che hanno contribuito a mantenere i tassi di interesse ai minimi storici (difatti, proprio ieri il tasso di interesse sul decennale dei titoli di Stato italiani è sceso allo 0,636% l'anno, diventando paradossalmente un rifugio speculativo per molti investitori).

A proposito di “mamma” BCE. Giova ricordare che nella riunione del 10 settembre scorso, il Consiglio direttivo ha assunto diverse decisioni di politica monetaria. Primo. Proseguire gli acquisti nell’ambito del Programma per l’emergenza pandemica (pandemic emergency purchase programme, PEPP) portando la dotazione finanziaria totale in 1.350 miliardi di euro. Secondo. Gli acquisti netti nell’ambito del programma di acquisto di attività (PAA) continueranno a un ritmo mensile di 20 miliardi di euro, unitamente agli acquisti nel quadro della dotazione temporanea aggiuntiva di 120 miliardi di euro fino alla fine dell’anno. Terzo. Continuare a fornire "abbondante liquidità" attraverso le proprie operazioni di rifinanziamento (OMRLT-III).

Nella pagina internet dedicata al PEPP la BCE riporta alcuni dati relativi a questo programma. In particolare, alla fine di settembre 2020, il valore contabile dei titoli detenuti dall'Eurosistema nell'ambito del PEPP ammontava a 567,183 miliardi di euro, di cui 499,876 miliardi acquistati entro agosto e 67,308 miliardi nel mese di settembre. Sempre alla data di fine settembre, l'ammontare della componente relativa ai titoli del debito pubblico era di 510,112 miliardi di euro.

Queste tabelle riportano la ripartizione del valore contabile dei titoli del debito pubblico dei vari paesi acquistati dall'Eurosistema. Da notare l'Italia.











Ma questi sostegni, ricordiamoci, non sono strutturali come qualcuno forse banalmente immagina. Sono palliativi temporanei che continuano a rinviare, come quella sorta di "benessere" del tossico che si è appena iniettato una dose, la necessità di cambiare radicalmente rotta con le brutte quanto necessarie riforme strutturali.

In settimana, poi, è giunta anche la decisione della commissione europea di prorogare, tra l'altro, sino al 30 settembre 2021 le regole sulla ricapitalizzazione statale delle imprese in crisi, previste nel quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato.

Norme, già declinate a maggio scorso nel Decreto Rilancio con l'istituzione del "Patrimonio Destinato" che farà capo alla nuova multitasking dello Stato, cioè Cassa Depositi e Prestiti spa. Senza contare che l'accordo definitivo sul bilancio europeo a lungo termine non è stato ancora raggiunto.

E qui che si fa? La politica nostrana sonnecchia e campicchia.

E allora un bel giorno si dovranno fare i conti con la realtà, cioè con un mercato dei titoli di stato disintossicato dalle politiche monetarie della banca centrale.

Ed a quel punto saremo più indebitati di prima e con la necessità di rimborsare i prestiti europei. E i tassi di interesse? Vedremo.

Quanto alla proroga del regime degli aiuti di stato, questa genererà un'ulteriore enfatizzazione dell'idea dello “Stato imprenditore”. Cioè di uno Stato pervasivo che non solo detta le regole che incideranno sull'economia, orientandola a proprio uso e consumo, ma esso stesso diventa un attore primario nel sistema produttivo e industriale di questo Paese. Il tutto con evidenti effetti di alterazione del mercato e della concorrenza.

Insomma, finiremo per avere uno “Stato che tutto sa e tutto vede”.

Un pianificatore centrale, incapace di gestire i servizi fondamentali, che sarà sempre più indebitato e tossicodipendente del denaro dei contribuenti. E c'è già chi invoca una patrimoniale.



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