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DL Natale: un esercizio di equilibrismo giuridico-incostituzionale?

di Nicola Iuvinale

Extrema Ratio lo aveva anticipato già il 4 dicembre scorso. Il Premier Conte avrebbe imposto misure più restrittive alla libertà di circolazione durante le festività natalizie. Era agevolmente desumibile, anche ad una lettura la più superficiale, del DL 158/2020 del 2 dicembre.

Difatti, questo decreto (ora in Parlamento per la conversione in legge) ha conferito al Presidente del Consiglio un potere: adottare misure più restrittive, a prescindere dalla classificazione in livelli di rischio e di scenario delle Regioni.

"Indipendentemente dalla classificazione in livelli di rischio e di scenario" (cioè senza tenere conto delle ordinanze del Ministro della salute), Conte avrebbe avuto la possibilità di applicare misure più restrittive della libertà, attingendole tra quelle previste nel primo lockdown.

Leggiamo:


Tuttavia, tale potere è stato disancorato dal criterio oggettivo del famoso algoritmo a vantaggio, invece, di un parametro meramente interpretativo, cioè alle sole valutazioni del Comitato tecnico-scientifico per i profili tecnico scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità”. Un giudizio, se vogliamo, meno obiettivo e suscettibile di interpretazioni discrezionali.

E questo non faceva già presagire nulla di buono, soprattutto perché si poneva in contrasto con la Costituzione, in particolare con il principio di legalità sostanziale.

Vediamo, allora, come funzionava sino a quel momento.

Come sappiamo, il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha il potere di emanare le ordinanze che collocano le Regioni in zone rosse, gialle o arancioni, a seconda del differente rischio di contagio.

Queste ordinanze fanno riferimento ad un precedente decreto del Ministro stesso del 30 aprile 2020, con il quale è stato definito il metodo di monitoraggio del rischio sanitario. In pratica, sono stati previsti 21 criteri (anche su dati comunicati dalle Regioni) che, tramite un algoritmo, vengono elaborati definendo i livelli di gravità di rischio epidemiologico regionale.

Il DPCM del 3/12, ancora in vigore, definisce, invece, le misure restrittive calibrate, appunto, in funzione del colore (gravità di rischio sanitario) della regione (le zone rosse, gialle ed arancioni).

Il metodo dell'algoritmo, pur presentando comunque delle criticità e delle opacità intrinseche, in qualche modo circoscrive il potere discrezionale dell'esecutivo nell'emanazione dei relativi provvedimenti attuativi, facendolo evidentemente rientrare nei parametri costituzionali.

E' un sistema, infatti, che, basandosi su dati numerici oggettivi, pone dei confini al potere discretivo e consente di modulare, in modo moderatamente equo (in aumento o in diminuzione), le misure restrittive alla libertà previste nei DPCM.

Questo metodo cerca, dunque, di dare attuazione al principio di legalità formale e sostanziale imposti dalla Costituzione.

Ciò detto, in base alle vigenti ordinanze del ministro Speranza, quasi tutta Italia attualmente è classificata "zona gialla" e si applicano le relative misure, più blande, previste dal DPCM del 3/12.

Ma con il DL 172/2020, pubblicato in G.U. stamane (o questa notte), il Governo cambia improvvisamente "rotta", decidendo di imporre (non più con DPCM, ma con decreto legge) misure molto più restrittive. "Impone", infatti, la "zona rossa" all'intero territorio italiano per alcuni giorni determinati. Attenzione, però! Questo provvedimento non solo non si basa sul metodo oggettivo dell'algoritmo finora utilizzato, ma non tiene conto neppure delle ordinanze del Ministro della salute in essere (con le quali, peraltro, entrerebbe finanche in contrasto). Inoltre, non indica nemmeno quali sarebbero le oggettive condizioni peggiorative del rischio epidemiologico che dovrebbero giustificare l'emanazione di un decreto legge particolarmente invasivo sulle libertà individuali. Si legge, infatti, che:

Dunque, se per il Ministro Speranza l'Italia è da ritenersi zona gialla (con l'applicazione delle più miti misure del DPCM del 3/12), con il DL Natale ci ritroveremo a patire misure molto più restrittive che, per quanto detto, non sono né proporzionate, né sindacabili nel merito.

Non viene precisato, difatti, chi o cosa abbia giustificato l'aggravamento delle misure (o sulla base di quali valutazioni scientifiche), ma si scrive, laconicamente, di dover adottare “adeguate ed immediate misure di prevenzione e contrasto all'aggravamento dell'emergenza epidemiologica”.

Si fa, quindi, riferimento ad futuro, ed ipotetico, aggravamento dell'emergenza epidemiologica.

Sia chiaro. In questa sede non si vuole sindacare l'opportunità della scelta governativa, ma solo come questa sia stata (non) giuridicamente "giustificata" e ciò ad onta di un corretto esercizio dei poteri dello Stato.

Aggiungiamo, poi, che il DL, per sua natura, si sottrae anche ad un confronto parlamentare. Il controllo nel merito, infatti, viene posticipato in sede di conversione. E ciò con tutti i limiti che abbiamo più volte evidenziato in termini di assenza di un democratico contraddittorio con le forze di opposizione.

Sul piano formale, poi, va detto che anche i decreti legge (art. 77 della Costituzione) devono rispettare il principio di legalità. La Costituzione non contiene, però, una formulazione espressa del principio, anche se ad esso si fa riferimento indiretto in diversi articoli. In particolare, l’art. 23 Cost. stabilisce che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base a una legge”.

I decreti legge sono emanati, come detto, dal Governo e sono immediatamente esecutivi. Inoltre, devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni, pena la loro decadenza con effetti retroattivi.

La legge 400/1988, all'art. 15 comma 1, stabilisce, poi, che il DL deve specificare, nel preambolo, le circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione, nonché dell’avvenuta deliberazione del Consiglio dei Ministri e devono prevedere (comma 3) le “misure di immediata applicazione ed il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo”.

Essi devono rispettare, dunque, il cosiddetto principio di legalità che si estrinseca attraverso quello della legalità formale (secondo cui il potere deve essere attribuito per legge e deve essere esercitato nei modi e nelle condizioni stabilite dalla legge) e sostanziale (secondo il quale la legge attributiva del potere deve fissare i criteri che consentano di delimitare il potere attribuito).

Il principio di legalità è un caposaldo del garantismo nelle moderne Costituzioni. L'applicazione di questo principio implica una garanzia per i cittadini nei confronti di eventuali abusi e/o di decisioni arbitrarie, il cui controllo è rimesso alla Corte Costituzionale.

La Corte, infatti, è chiamata a controllare se gli atti legislativi si siano formati con i procedimenti richiesti dalla Costituzione (cosiddetta costituzionalità formale) e se il loro contenuto sia conforme ai principi costituzionali (cosiddetta costituzionalità sostanziale).

Per quanto riguarda i decreti legge, la Corte Costituzionale ha più volte ribadito che


Dunque, sul piano procedimentale, il Governo emana il decreto legge e la maggioranza parlamentare che lo sostiene (a volte anche ponendo la fiducia) valuta il merito della responsabilità politica del Governo.

Quanto alla sua sindacabilità costituzionale, questa purtroppo è rinviata dopo l'entrata in vigore della legge di conversione. Non con impugnazione diretta del cittadino (che non è consentita in Italia), ma attraverso il cosiddetto controllo di costituzionalità "incidentale" della Corte, se adita. La questione di costituzionalità di una legge può sorgere, difatti, solo come "incidente" nell'ambito di un comune processo, avente ad oggetto una qualsiasi materia controversa, ed è proposta alla Corte Costituzionale dal Giudice del processo, attraverso un suo preliminare vaglio di fondatezza.

Tornando al tema principale - riguardante la sindacabilità delle scelte governative - la magistratura amministrativa, recentemente, ha anche rilevato l'assenza di trasparenza dei pareri tecnico-scientifici posti a base dei provvedimenti restrittivi e l'impossibilità di valutare, anche sul piano costituzionale, la corretta proporzionalità delle misure adottate (ordinanza cautelare TAR Lazio n. 7468 del 4.12.2020). E' stata evidenziata, inoltre, la necessità di approfondire le varie questioni di legittimità costituzionale nella fase di merito.


Recentemente, poi, in sede di conversione di un DL, è stato ulteriormente ridotto il controllo “esterno” sui verbali del comitato tecnico-scientifico, prevedendone la pubblicazione solo per estratto e non in forma integrale.



Arrivati a questo punto sorge un dubbio legittimo.

Perché il Governo è ricorso ad un decreto legge considerato che Presidente Conte, come abbiamo visto, proprio in virtù del citato DPCM del 3/12, avrebbe potuto legittimamente adottare le medesime misure più restrittive?

Non vogliamo pensare che ciò sia stato posto in essere per inibire una sindacabilità del giudice amministrativo, consentita per un DPCM quale atto amministrativo. Perché se così fosse, si tradurrebbe in un esercizio di equilibrismo giuridico-incostituzionale che non avrebbe precedenti.


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