One Belt One Voice: i media cinesi in Italia. Un rapporto dell'Istituto Affari Internazionali ci racconta del legame dei media cinesi con i media pubblici e privati italiani.
di Nicola Iuvinale
La Cina è passata, ormai da tempo, ad una fase politica molto più aggressiva di consolidamento del proprio potere interno ed internazionale.
Oggi la Cina è una "piovra", un'impresa tentacolare che ha ramificazioni su tutto il globo.
Il paese, sotto Xi Jimping, ha intrapreso una gigantesca guerra “di influenza” per dimostrare il suo potere.
Lo rivela anche lo studio dell'Istituto di Ricerca Strategica della Scuola Militare francese (Irsem) pubblicato quest'anno.
Sotto Xi Jinping la Cina è entrata in una nuova e più aggressiva fase di consolidamento del suo potere grazie al rafforzamento del sistema politico e con l'uso della retorica sulla assoluta supremazia del Partito Comunista, al punto tale che “qualsiasi cittadino o azienda cinese ha l'obbligo di collaborare con i servizi di intelligence".
Le operazioni di propaganda mobilitano tutte le leve possibili, attraverso una gigantesca opera di sintetizzazione delle fonti internazionali, dalla diplomazia al cinema, dalle università alle aziende, dai media ai partiti.
La “guerra dell'opinione pubblica” è prioritaria perché, attraverso i media interni ed esteri, Pechino difende il modello cinese, elogia la tradizione del Paese, convince della sua presunta benevolenza e insedia il suo potere.
La Cina decide azioni che vengono svolte da migliaia di organizzazioni, da strutture di facciata, da individui affiliati ad altri rami del partito-stato, da think tank, dai media, dalle università, dalle associazioni di amicizia, dai giornalisti cinesi ma anche stranieri o persino da organizzazioni religiose ufficiali.
Un recente rapporto dal titolo "One Belt One Voice: Chinese Media in Italy" dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ci racconta del legame dei media cinesi con i media italiani.
Un rapporto collaudato secondo i suoi autori, Francesca Ghiretti e Lorenzo Mariani, che riguarda tutti i maggiori gruppi mediatici italiani – tra cui Agenzia giornalistica italiana (Agi), Adnkronos, Class Editori, Il Sole 24 Ore, Il Giornale, Mediaset, Rai e Ansa.
Gli autori confermano che "i media cinesi rappresentano la voce del Partito comunista cinese in patria e all’estero".
"Ad oggi, in Italia, poca attenzione è stata data alla natura e alle possibili implicazioni degli accordi siglati nel marzo del 2019 dalla Rai e dall’Ansa con le loro controparti cinesi", scrivono gli autori.
I due accordi, firmati a margine della visita di stato del Presidente cinese Xi Jinping - consolidati dalla firma di marzo 2019 di un Memorandum of Understanding, che ha portato l'Italia a entrare nella Belt and Road Initiative (BRI) - offrono lo spunto per analizzare il quadro più ampio di un panorama mediatico italiano sempre più interconnesso con quello cinese.
"Nonostante l’obiettivo dichiarato da parte di Pechino sia quello di favorire una percezione più favorevole della Cina all’estero, l’impatto che tale sforzo ha finora avuto sull’opinione pubblica italiana è piuttosto limitato".
Scarica il rapporto "One Belt One Voice: Chinese Media in Italy"
Scarica il rapporto dell'IRSEM.
In "Prediche Moderatamente Utili" lo avevamo anticipato con l'amico Fabio Scacciavillani.
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