Già alcune banche come HSBC stanno obbedendo agli ordini di Pechino di bloccare l'accesso agli asset degli abitanti di Hong Kong. Le cose potrebbero peggiorare se venissero adottate sanzioni contro la Cina
di Nicola e Gabriele Iuvinale
Il 14 aprile scorso, un editoriale del Wall Street Journal ha sottolineato che il governo di Hong Kong avrebbe preso “in ostaggio” i fondi pensione di circa 96.000 “Hong Kongers” che si sono trasferiti nel Regno Unito. La circostanza è stata confermata anche da una ricerca condotta dall'associazione Hong Kong Watch che ha definito la decisione come un cinico atto di deterrenza finanziaria e di vendetta.
In tempi normali la negazione dell'accesso ai risparmi pensionistici per un totale di oltre 2,5 miliardi di dollari, in uno dei centri finanziari globali, dovrebbe suonare come un campanello d'allarme per gli investitori internazionali, ma la sottomissione delle banche occidentali nel bloccare questi asset pensionistici è ancora più preoccupante. Ciò sottolinea un problema ben più grave per queste istituzioni finanziarie; cosa accadrebbe se dovessero affrontare pressioni simili, ad esempio per sequestrare beni in caso di sanzioni contro la Cina o di conflitto nello Stretto di Taiwan?
Banca HSBC potrebbe essere un “case study”.
La banca trae un enorme profitto in Cina e Hong Kong, dove ricava circa i due terzi dei suoi profitti; HSBC ha già trasferito i suoi massimi dirigenti a Hong Kong da Londra, mentre continua ad accelerare il suo spostamento strategico verso l'Asia. L’istituto ha sostenuto le leggi cinesi sulla sicurezza per Hong Kong ed è stata la prima ad istituire un comitato del Partito Comunista Cinese nella sua filiale di investment banking nel paese, una mossa che sottolinea la tensione che deve affrontare la banca mentre cerca di navigare tra Pechino e l'Occidente.
La ricerca di Hong Kong Watch stima che HSBC, in qualità di fiduciario del 30 percento del Mandatory Provident Funds di Hong Kong (fondo pensione obbligatorio per i residenti ad Hong Kong), avrebbe bloccato centinaia di milioni di dollari in attività.
Sam Goodman, membro del centro di ricerca ha detto: “HSBC non sta soddisfacendo le proprie responsabilità come fiduciario del Mandatory Provident Fund. Deve spiegare ai suoi clienti perché sta bloccando l'accesso ai loro sudati risparmi e il governo del Regno Unito deve chiedere perché una banca con sede a Londra stia eseguendo gli ordini di un governo autoritario non riconoscendo un documento valido emesso dal governo", riferendosi al passaporto nazionale britannico (d'oltremare) per gli abitanti di Hong Kong.
Il Mandatory Provident Fund (MPF) ha criticato l'editoriale del Wall Street Journal e HSBC ha giustificato questa mossa su basi morali e legali citando una semplice dichiarazione del Ministero degli Affari Esteri cinese di non riconosce più i passaporti British National Overseas (BNO) rilasciati nel Regno Unito agli hongkonghesi, poiché la Gran Bretagna avrebbe offerto, a milioni di ex sudditi, un modo per sfuggire alla repressione di Pechino contro il dissenso.
Il nuovo programma di immigrazione inglese è stata una risposta alla decisione di Pechino di imporre alla città una radicale legge sulla sicurezza nazionale per soffocare le proteste pro democrazia.
La Gran Bretagna ha accusato la Cina di aver infranto la sua promessa secondo cui l'hub finanziario avrebbe mantenuto le libertà e l'autonomia fondamentali per 50 anni dalla consegna dell’isola, avvenuta nel 1997.
Tutto ciò crea un pericoloso precedente. Se a delle semplici dichiarazioni di Pechino venisse automaticamente riconosciuto lo status di “atto legale vincolante”, cosa accadrebbe se Pechino iniziasse ad imporre sanzioni contro banche e imprese occidentali?
Non è difficile immaginare uno scenario in cui, nell'eventualità di un blocco di Taiwan o di un'invasione su vasta scala, agli istituti di credito sia “ordinato” da parte di Pechino di bloccare i bonifici bancari da Taiwan o a imporre controlli sui capitali a società e investitori occidentali che cercano di far uscire i propri soldi dalla Cina.
In tal caso, se gli Stati Uniti imponessero sanzioni alla Cina, alle banche occidentali ad Hong Kong e in Cina potrebbe non solo essere impedito di uscire dal mercato cinese, ma anche essere eventualmente obbligate ad assistere attivamente i funzionari cinesi mentre cercano di eludere tali sanzioni.
A giugno 2022, gli investitori stranieri detenevano oltre $ 1 trilione di obbligazioni e azioni cinesi onshore che potrebbero essere messe a rischio dai controlli sui capitali, insieme a ulteriori $ 1,9 trilioni di azioni di IDE in Cina, che le autorità potrebbero cercare di nazionalizzare.
Le banche statali cinesi saranno probabilmente schierate in una tale controffensiva, proprio come le banche russe si sono mosse per attuare gli sforzi del presidente Vladimir Putin per frenare la fuga di capitali. Ciò include anche un mandato secondo cui le società occidentali che desiderano uscire dal paese devono pagare una tassa del 10% sulla vendita dei loro beni.
Per molte banche statunitensi, la loro esposizione ai mercati finanziari russi prima dell'invasione dell'Ucraina era minima, con Bank of America e JP Morgan che non indicavano nemmeno la Russia tra i primi 20 mercati internazionali per esposizione. Ciò significava naturalmente che poche banche erano bloccate tra la scelta di sostenere l'invasione di Putin o le sanzioni occidentali.
La situazione sembrerebbe molto diversa quando si tratta di un conflitto su Taiwan e di un simile giro di sanzioni e controsanzioni. C'è una profonda incertezza su ciò che potrebbero fare le banche occidentali i cui centri di profitto sono in Cina.
Già nel 2022, un gruppo bipartisan di membri della Commissione esecutiva del Congresso degli Stati Uniti sulla Cina (CECC) aveva inviato una lettera alla banca d'investimento multinazionale britannica HSBC e ad una società di servizi finanziari, chiedendo specificamente informazioni sul congelamento dei conti di Hong Kong a media e gruppi della società civile e restrizioni imposte ai conti dei cittadini americani presso le filiali HSBC situate negli Stati Uniti.
I Commissari hanno anche chiesto ad HSBC se le sue pratiche commerciali contribuiscono all'“incapacità della popolazione di Hong Kong (a) di godere della libertà di riunione, di parola, di stampa o di uno stato di diritto indipendente; o (b) per partecipare a esiti democratici”, come stabilito l'Hong Kong Autonomy Act del 2020, che impone all'amministrazione statunitense di sanzionare qualsiasi individuo o entità, quindi anche le banche, complici nel minare i diritti umani e la democrazia a Hong Kong.
Ciononostante, l’odierna incapacità di “sfidare” le banche con sede in Occidente sulla loro “complicità nella repressione di Hong Kong”, renderà solo più probabile, un domani, la loro vulnerabilità alle stesse pressioni di Pechino quando si tratterà di bloccare gli asset in caso di sanzioni applicate alla Cina o di un conflitto con Taiwan.
Articolo originariamente pubblicato su Money.it
Comments