Recovery plan: uno sguardo anche all'istruzione e al lavoro per i disabili
Gabriele Iuvinale
Nell'epoca della doppia pandemia, quella sanitaria ed economica, siamo distratti quotidianamente da analisi, numeri di contagi, statistiche sui vaccini, conti pubblici, questioni politiche, ecc..
Eppure c'è un mondo, quello dei disabili, che tutt'ora è ancora troppo poco considerato nel dibattito sull'utilizzo dei fondi europei. Ma i dati ci dicono che le persone che riferiscono di avere limitazioni, a causa di problemi di salute, nello svolgimento di attività abituali ed ordinarie, sono molte in Italia.
E per i giovani con disabilità, sono soprattutto l'istruzione ed il lavoro che restano una dimensione critica.

Molto è stato fatto finora. Ma non è sufficiente. Il recovery plan, e le riforme che ne rappresenteranno l'ossatura portante, potranno, rectius dovranno, rappresentare lo strumento per affrontare definitivamente questi problemi, indirizzando i giusti investimenti futuri per un pieno inserimento sociale, culturale e lavorativo di questi ragazzi.
I numeri della disabilità in Italia
Il rapporto ISTAT 2019 sul mondo della disabilità fornisce un quadro complessivo dello stato attuale delle condizioni di benessere individuale e di partecipazione alla vita sociale e culturale del paese da parte delle persone con disabilità.
Lo studio individua 3,1 milioni di persone che, nel nostro Paese, a causa di problemi di salute, soffrono di gravi limitazioni, tali da impedire il normale svolgimento di attività quotidiane abituali. La composizione demografica rivela la categoria degli anziani come quella maggiormente colpita. Ad essere affetti da tali condizioni, infatti, sono circa 1 milione e mezzo gli ultra settantacinquenni - circa il 20% dell’intera popolazione di questa fascia d’età - di cui circa 990 mila sono donne. Spicca dunque un’età media avanzata delle persone con disabilità (67,5 anni) rispetto a quella della popolazione.
La preponderanza dei casi di disabilità nella popolazione femminile si riscontra anche nel dato generale della popolazione italiana, dove a fronte di un numero medio di persone disabili pari al 4,3% della popolazione maschile si trova una percentuale del 6,0% della popolazione femminile.
La salute
Le persone con gravi limitazioni dichiarano cattive condizioni di salute in una percentuale pari al 61% (62,8% tra le donne) contro lo 0,6%, nel resto della popolazione. Un divario che si amplia ulteriormente se si considera la sola popolazione anziana (68,7% contro l’1,6%). Il riflesso del contesto sociale sullo stato di disabilità delle persone con deficit di salute è riscontrabile nei casi di riduzione o di perdita dell’autonomia nello svolgimento di attività elementari. Tale condizione, che comporta la necessità di un’assistenza esterna di familiari o personale incaricato, riguarda principalmente la popolazione anziana e, in particolare, gli ultra settantacinquenni.
Circa il 12% della fascia over-75 non riesce a svolgere mansioni elementari di cura personale quali fare il bagno o la doccia da soli, sdraiarsi e alzarsi dal letto o sedersi e alzarsi da una sedia, vestirsi e spogliarsi, usare i servizi igienici e mangiare.
A queste limitazioni, si aggiunge quella dello spostamento autonomo con i mezzi, pubblici e privati. I dati sulla mobilità urbana evidenziano chiaramente come le persone con limitazioni gravi non riescano ad usufruire pienamente dei servizi quanto il resto della popolazione (13% contro il 25,1%).
L'istruzione
Nonostante l’istruzione, quale strumento di sviluppo delle potenzialità dell’individuo e in quanto diritto internazionalmente riconosciuto per le persone con disabilità, rappresenta un’area di investimento cruciale per il pieno inserimento sociale, culturale e lavorativo dei ragazzi, l’accesso è tutt'ora ostacolato.
Alcuni risultati positivi nell’inclusione scolastica ed educativa dei ragazzi con disabilità, sono stati raggiunti con la la legge 104 del 1992 che ha introdotto il Piano Educativo, individualizzato come modello di percorso multidisciplinare costruito sulla combinazione di attività formative scolastiche con interventi di socializzazione e di riabilitazione extra-scolastici.
Il rapporto ISTAT riporta, infatti, un ampliamento della platea di studenti con disabilità rispetto all’anno scolastico 2009/2010. In tale anno gli iscritti erano 200 mila, mentre nell’anno scolastico 2017/2018 sono stati oltre 272 mila.
Il recente rapporto Istat dal titolo L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, mostra un andamento del rapporto degli alunni con disabilità - sul totale degli alunni per ordine e anno scolastico- più elevato nella scuola secondaria di primo grado. In tutti gli ordini si registra in ogni caso un costante aumento, imputabile sia ad una maggiore riconoscibilità rispetto al passato di alcune patologie, sia ad un più diffuso accesso alle certificazioni.
Nello stesso arco temporale è aumentato anche il numero di insegnanti per il sostegno, passati da 89 mila a 156 mila (una crescita vicina al 75%)
Nonostante il positivo miglioramento, rimane una ingente disparità nell’accesso all’istruzione e nei titoli di studio più elevati a danno degli studenti con disabilità e, in particolare, delle studentesse. Come sottolineato dal rapporto Istat 2019, la quota di persone con disabilità che hanno raggiunto i titoli di studio più elevati (diploma di scuola superiore e titoli accademici) è pari al 30,1% tra gli uomini e al 19,3% tra le donne, a fronte del 55,1% e 56,5% per il resto della popolazione, mentre ad essere senza titolo di studio è il 17,1% delle donne contro il 9,8% degli uomini tra le persone con disabilità; nel resto della popolazione le quote sono rispettivamente 2% e 1,2%..Un ulteriore dato preoccupante evidenziato dal rapporto Istat concerne l’accessibilità agli edifici scolastici: solo il 31,5% delle scuole ha abbattuto le barriere fisiche e solo nel 17,5% dei casi sono state abbattute le barriere sensopercettive. L’accessibilità alle strutture è un’area in cui il divario territoriale è particolarmente ingente. Altre forme di accessibilità limitata – come la partecipazione a gita scolastiche – condizionano la piena inclusione dello studente all’interno del contesto scolastico.
L'impatto della pandemia sull'istruzione
L’ultima indagine Istat sull'inserimento degli alunni con disabilità nelle scuole statali e non statali, pubblicata il 9 dicembre 2020, evidenzia alcuni dati critici. Con la didattica a distanza diminuisce la partecipazione degli alunni con disabilità, dei quali il 23% non ha partecipato alla DAD tra aprile e giugno 2020.
Inoltre, nell’anno scolastico 2019-2020 è aumentato ancora il numero di alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane (+ 13 mila, il 3,5% degli iscritti), così come il numero di insegnanti per il sostegno, con un rapporto alunno-insegnante migliore delle previsioni di legge, sebbene il 37% di questi ultimi non abbia una formazione specifica. Rimangono, invece, carenti gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione nel Mezzogiorno, dove il rapporto alunno/assistente è di 5,5 con picchi di oltre 13 in Campania e in Molise.
Viene segnalata, inoltre, la scarsa accessibilità per gli alunni con disabilità motoria (solo nel 32% delle scuole) e molto critica la disponibilità di ausili per gli alunni con disabilità sensoriale (2%). Differenze si riscontrano anche nel percorso scolastico intrapreso dagli studenti con disabilità, i quali, sempre secondo i dati Istat, privilegiano indirizzi professionali orientati al lavoro immediato dopo il diploma o dopo l’obbligo didattico, piuttosto che ad un proseguimento degli studi nel mondo universitario.
Con la Didattica a distanza, i livelli di partecipazione sono diminuiti sensibilmente. Tra aprile e giugno 2020, oltre il 23% degli alunni con disabilità (circa 70 mila) non ha preso parte alle lezioni. La quota cresce nelle regioni del Mezzogiorno dove si attesta al 29%. Gli altri studenti che non partecipano costituiscono invece l’8% degli iscritti. Anche in questo caso si riscontrano ampie differenze territoriali: le regioni del Centro si distinguono per la più bassa percentuale di studenti esclusi (5%) mentre nel Sud del Paese la quota risulta quasi raddoppiata (9%). I motivi che hanno reso difficile la partecipazione degli alunni con disabilità alla Didattica a distanza sono diversi. Tra i più frequenti sono da segnalare la gravità della patologia (27%), la difficoltà dei familiari a collaborare (20%) e il disagio socio-economico (17%). Per una quota meno consistente ma non trascurabile di ragazzi, il motivo dell’esclusione è dovuto alla difficoltà nell’adattare il Piano educativo per l’inclusione (PEI) alla Didattica a distanza (6%), alla mancanza di strumenti tecnologici (6%) e, per una parte residuale, alla mancanza di ausili didattici specifici (3%). Le difficoltà di carattere tecnico e organizzativo, unite alla carenza di strumenti e di supporto adeguati e alle difficoltà d’interazione, hanno reso quindi la partecipazione alla DAD più difficile per i ragazzi con disabilità, soprattutto in presenza di gravi patologie, o se appartenenti a contesti con un elevato disagio socio-economico. Tali complessità hanno ostacolato o interrotto del tutto il percorso didattico intrapreso da molti docenti, impedendo il conseguimento di uno degli obiettivi che una scuola inclusiva si pone ancor prima dell’apprendimento: quello della socializzazione.
Il lavoro
Al pari dell’istruzione, il lavoro è mezzo di realizzazione, inclusione sociale, autonomia economica e sostentamento per l’intera popolazione e così per le persone con disabilità. La disoccupazione, in particolare, può portare al diradamento delle relazioni sociali, alla perdita di un reddito e di un sostentamento economico e all’impoverimento delle proprie abilità e competenze lavorative.
Come confermato dal report “L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia” a cura della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro , il lavoro rimane una dimensione critica per le persone con disabilità, come testimoniano gli squilibri con il resto della popolazione. Il tasso di occupazione di persone con gravi limitazioni, ma abili al lavoro, è pari al 35,8% (contro il 57,8% delle persone prive di limitazioni gravi), mentre il tasso di inattività è pari al 43,5% (contro il 27,5% delle persone prive di limitazioni).
Il primo strumento introdotto nel panorama legislativo italiano per favorire l’ingresso delle persone con disabilità nel mercato del lavoro è stato l’istituto del collocamento mirato, introdotto dalla legge n.68 del 1999. A vent’anni dalla creazione di tale istituto, l’inclusione socio-lavorativa rimane dunque una questione aperta in Italia.
Malgrado l’implementazione di tale sistema di sostegno all’inclusione lavorativa, il divario che separa le persone con disabilità da una parità di partecipazione al mercato del lavoro rimane grave: considerando la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, i dati Istat mostrano che solo il 31,3% di coloro che soffrono di limitazioni gravi (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini) è occupato – anche in questo caso, con disomogeneità territoriali rilevanti, con il 32,6% degli occupati nel Nord Ovest e il 23,7% nel Nord Est - contro il 57,8% delle persone senza limitazioni. A trovarsi occupate sono le fasce della popolazione adulta: il 53,7% degli occupati ha superato i 50 anni e il 14,3% ne ha più di 60, a testimonianza della maggiore difficoltà che le persone con disabilità incontrano nell’accesso al mondo del lavoro.
Una questione particolarmente problematica riguarda la condizione di persone con disabilità non autonome conviventi con i genitori al momento della scomparsa di questi ultimi.
Conclusioni
Come abbiamo visto, l'istruzione ed il lavoro restano una dimensione fortemente critica per i giovani con disabilità. La speranza è che il Governo prenda atto di tutto ciò, dedicando parte delle risorse europee del Recovery Plan alla risoluzione di queste gravi problematiche.