Una rinascita post virus a partire dalla riscoperta dell'imprenditorialità per evitare l'assistenzialismo e l'economia della sussistenza
Gabriele Iuvinale
Come ripartire dopo questo tzunami che ha completamente stravolto le vite di tutti? Una questione, questa, che in tanti si sono posti. Una breve ma intensa riflessione, capace di affrontare con schiettezza e al contempo con un grande spirito autocritico, arriva da un prelato, Mons. Lorenzo Leuzzi, Vescovo di Teramo-Atri, che, in un pamphlet dal titolo “Il mondo soffre per mancanza di pensiero. Da Paolo VI a Francesco” (Edizioni Palumbi, 2020), prova ad indicare una strada per garantire a tutti la possibilità di vivere pienamente la propria esistenza storica.
Al di là delle idee religiose e morali di ciascuno, il pensiero di Leuzzi invita il lettore ad una riflessione profonda, avendo come punto di partenza quella “mancanza di pensiero” che interpella ciascuno. Secondo l'autore, infatti, le progettualità sociali, definite “anti-realistiche”, si sono dimostrate inadeguate ben prima dello scoppio della pandemia ed è proprio grazie a questo resettaggio, offerto all'uomo di oggi dall'attualità storica, che è possibile ripartire.
La riflessione, poi, si incanala in due direttrici che vedono, la società da un lato e la Chiesa dall'altro, i due pilastri intorno ai quali provare a ri-trovare delle chiavi di lettura significative della realtà.
Ed è in particolare il concetto di “assistenzialismo”, insieme a quello dei “diritti individuali”, che appare più che mai illuminante. “Tra le più insidiose pseudo-forme” scrive, infatti, nella prefazione Eugenio Gaudio, rettore dell'Università di Roma “La Sapienza”, “l'autore individua l'assistenzialismo, che assume l'esigenza della giustizia sociale, con una rilevanza etica, ma in realtà favorisce l'economia della sussistenza, privando l'uomo del suo vero ruolo di costruttore sia di se stesso che del soggetto sociale in cui è inserito. I diritti individuali, invece, quale pseudo-forma più diffusa, portano ad una società senza comunità, lasciando prendere al singolo il primato nella e sulla realtà sociale”.
E, nell'indicazione di una possibile via verso una nuova progettualità sociale dopo il virus, Leuzzi suggerisce una sua costruzione “non secondo progetti manageriali ma imprenditoriali”.
“Il manager”, scrive l'autore, “organizza, mentre l'imprenditore progetta. La realtà sociale diventa un assoluto e si auto-distrugge quando si identifica con la managerialità. Questa, infatti, è al servizio dell'imprenditorialità che può garantire una progettualità distinta dalla realtà sociale. Imprenditore e manager insieme, ma il primato è dell'imprenditorialità”.
Proprio per questo motivo, dunque, appare un errore grave separare l'uomo dal lavoro poiché significherebbe tornare ad una società della sussistenza. Unica via per la promozione sociale dell'uomo, quindi, è la cultura dell'imprenditorialità, visto che quella della managerialità da sola non è in grado di garantire ciò. Senza dimenticare, come d'altronde riportato anche dall'articolo 2 della Costituzione italiana e ribadito da Aldo Moro nel 1976, che i diritti individuali devono essere al servizio della realtà sociale e non autonomi e indipendenti.
Anche la Chiesa, secondo Leuzzi, non è esente da colpe. Ma proprio perché questo “grido di dolore” dell'umanità è diventato sempre più impellente a causa del virus, essa deve riuscire a dare una risposta, ponendosi al servizio dello sviluppo dei popoli, liberata “da ogni forma di immanentismo antropologico, che è la negazione della libertà e della democrazia”.
Rimettere, dunque, l'uomo al centro e non avere paura di cercare risposte alla mancanza di pensiero. Chiesa, politica, economia, società tutta.
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