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Immagine del redattoreGabriele Iuvinale

Un modello per l'Unione Europea. Il pragmatismo

Sono necessari interventi di ingegneria istituzionale per una Europa-nazione


Nicola Iuvinale

La pandemia da coronavirus è stata ed è ancora uno stress test per tutti i Paesi del mondo.

Per risolvere il problema ognuno ha reagito in modo diverso.

Ci sono quelli che hanno agito con praticità, concretezza e celerità di azione, con “pragmatismo” altri, invece, come il blocco UE con una visione più teorica, astratta, conformista, cosiddetta “giuridica” in quanto legata più alla correttezza della spesa che al risultato.

Assistiamo, oggi, ai primi concreti risultati delle politiche di questi due blocchi di pensiero.

Da un lato i paesi “pragmatici” sono indubbiamente più avanti nella lotta al coronavirus.

In Israele la campagna vaccinale è ormai un modello di efficienza invidiato da tutto il mondo.

Le ragioni del successo sono frutto di un progetto interdisciplinare che ha a base un piano elaborato da politici, economisti, sanitari, giuristi e manager.

Il tutto, condito dalla loro proverbiale capacità decisionale e organizzativa.

Spendere di più per fare presto e ridurre anche i danni economici da un prolungato lockdown.

Hanno calcolato quanto costava economicamente al paese ogni giorno di lockdown e di conseguenza hanno deciso di investire tanto per ridurre i tempi e quindi i danni anche all'economia reale.

Il Governo israeliano, infatti, aveva fissato l'obiettivo di vaccinare la metà della popolazione entro la fine di marzo.

E ci stanno riuscendo.

In primis, hanno iniziato la vaccinazione prima di molti altri Paesi, compresi gli Stati Europei.

Poi sono stati in grado di mettere in piedi una macchina organizzativa molto efficiente, realizzando addirittura dei centri drive-in di vaccinazione.

Inoltre, sono riusciti ad accaparrarsi, prima di altri, un gran numero di dosi dalle società farmaceutiche Pzifer-BionTech e Moderna.

Analizzando i prezzi dei vaccini riportati dai media americani a dicembre, emerge che Israele ha pagato molto di più per il vaccino Pfizer rispetto agli Stati Uniti e all'Unione Europea.

Inoltre, il Premier Benjamin Netanyahu si è già incontrato con i funzionari sanitari per discutere esattamente quali diritti speciali saranno riconosciuti ai possessori dei cosiddetti Passaporti verdi, rilasciati ai vaccinati. Questo documento, inizialmente, garantirà ai titolari l'accesso a grandi raduni e a luoghi culturali.

Ma la finalità è anche un'altra.

Secondo il Ministero della Salute, il sistema del Passaporto verde avrà un'influenza significativa sulla strategia di uscita dal lockdown, con aumento dei benefici all'accrescere del numero dei vaccinati.

Riaprire il mondo economico e produttivo per consentire ai vaccinati di riprendere la vita normale e dare la possibilità agli israeliani con Passaporto verde anche di essere esentati dalla quarantena quando andranno all'estero.

Per questo il 30 dicembre scorso, al fine di capire le ragioni della positiva esperienza israeliana, su richiesta dell'ufficio del Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, si è finanche tenuta una teleconferenza tra l'ufficio del Cancelliere e il personale Israeliano.

E' notizia di questi giorni che il Cancelliere austriaco vorrebbe dissociare l'Austria dalla politica comunitaria e seguire la strada già percorsa dagli israeliani.

Anche gli Stati Uniti sono sulla buona strada.

Si sono mossi con grande anticipo creando uno specifico centro statale di ricerca che collabora con le Big pharma per lo sviluppo dei vaccini e dell'industria farmaceutica.

Gli USA hanno destinato parecchie risorse pubbliche al finanziamento delle aziende farmaceutiche per la ricerca e lo sviluppo di vaccini anticovid.

Anche loro hanno iniziato le vaccinazioni prima dell'UE e oggi, con la nuova politica di Biden, la lotta al coronavirus sarà ancorpiù accentuata.

Anche la Gran Bretagna è sulla stessa strada degli Stati Uniti.

Questa è la politica del pragmatismo voluta e messa in pratica da questi paesi per salvaguardare anche l'economia reale: investire tanto denaro pubblico per ridurre i tempi del lockdown e tentare di salvare più vite umane.

In una parola semplice decidere e muoversi.

L'investimento pubblico produttivo in termini di spesa “costerebbe”, in prospettiva, sicuramente meno dei danni all'economia reale prodotti dal lockdown prolungato.

Investire presto per la lotta contro il virus anche con azioni concrete, collaborando con le case farmaceutiche.

Ma dietro c'è anche un'organizzazione politica concreta, decisionista e con una necessaria visione geopolitica.

Chi uscirà prima dalla pandemia potrà economicamente emergere sui paesi ritardatari che avranno più danni.

L'UE invece appartiene ai paesi cosiddetti “giuridici” con una visione più astratta e conformista.

E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

L'UE ha reagito con molto ritardo, ma soprattutto, anziché collaborare con le Big Pharma, ha puntato alla forte riduzione del prezzo dei vaccini, più occupata alla correttezza della spesa che al risultato.

Sono state ordinate una quantità di dosi che, oggettivamente, le case farmaceutiche non avrebbero mai potuto produrre in tempi ristrettissimi perché difettano anche gli impianti di produzione.

I contratti di acquisto sono purtroppo secretati e conservati in un ufficio al quale pochissimi hanno accesso.

In totale assenza di trasparenza.

Una visione monoculare, con un'azione politica poco concreta che ha portato un notevole ritardo alle forniture dei vaccini e ai conseguenti piani vaccinali.

Due visioni, due mondi, due risultati diversi.

Ma in gioco c'è anche la salvaguardia delle economie dei paesi e la nuova geopolitica che sarà ridisegnata dal dopo pandemia.

In quest'ottica, le insidie maggiori vengono dall'est europeo, dalla Russia e dalla Cina che certamente non staranno a guardare, ad attendere chi si trova indietro.

Perché, allora, l'UE ha avuto questa visione non pragmatica dell'azione politica?

La risposta è sia politica che istituzionale.

E' l'atavica diversità di visione tra un'Europa federalista e una confederale e dei risultati politici che ne discendono.

La prima (cd. federalista) mirante alla creazione di un quadro politico-istituzionale marcatamente sovranazionale e avente come obiettivo la nascita dei cosiddetti Stati Uniti d'Europa.

Questa corrente tende ad attribuire maggiore sovranità politica all'Europa, in una visione più pragmatica dell'azione amministrativa, meno ridondante e più efficiente.

La seconda (cd. confederale) che identifica ancora negli Stati nazionali un elemento imprescindibile dell'organizzazione politica europea, pur riconoscendo, all'interno degli scenari del dopoguerra, la necessità di un loro maggiore collegamento e di più numerose iniziative comuni, soprattutto in politica estera (cit. Roberto Zavaglia).

Il modello verso il quale è andata conformandosi la Comunità (tranne che per la politica monetaria dopo l'adozione della moneta unica) è quello delle relazioni intergovernative; cioè all'affermazione del confederalismo con una visione necessariamente più conformista e accomodante tra le cancellerie.

Si tratta però di un aggiustamento, frutto di spinte contrapposte, che ha già mostrato e mostra tutte quante le sue carenze che non potranno essere superate solo dalla comune politica monetaria portata avanti con pragmatismo dalla BCE.

Se la volontà di procedere verso l'unione politica non si riduce ad un puro esercizio retorico, ma ha realmente l'obiettivo finale di dotare l'Europa di una sola voce e non soggetta ai miopi ricatti dei veti incrociati, nel campo diplomatico, della difesa ed economico, per riconferirle la possibilità di esercitare un ruolo indipendente nelle grandi trasformazioni geopolitiche del dopo pandemia, occorrerà attuare dei cambiamenti di grande sostanza.

Durante gli ultimi anni e ancorpiù nell'ultimo (politica del Governo Trump, la Brexit), abbiamo osservato come la forza degli eventi abbia finito col radicalizzare strappi anche apparentemente minimi e le prime incrinature “all'ordine occidentale” si siano mutate in voragini che pretendono di essere riempite da una nuova iniziativa politica.

L'Europa difficilmente potrà continuare a rimanere solo lo spazio geografico del confronto, e dell'eventuale scontro, di potenze straniere: da un lato gli Stati Uniti e dall'altro la Russia e la Cina.

In una situazione così fluida, anche una realtà maturata nel seno dell'ortodossia occidentalista, qual'é l'UE, ha la possibilità, davanti a scenari così sensibilmente mutati (e che matureranno con la pandemia), di modificare la sua direzione di marcia e fuoriuscire, almeno parzialmente, dai binari che ne avevano precedentemente condizionato l'esistenza.

E' difficile prognosticare se l'UE saprà esprimere in tempi brevi una volontà sovranazionale e autonoma e se il suo sviluppo saprà essere pari ai grandi compiti che attendono le classi dirigenti del nostro continente.

Le perplessità sono molte, soprattutto quando si guarda alle contraddizioni implicite nelle sue istituzioni e alla vaghezza dei progetti di riforma.


Oggi, l'Europa-nazione non è ancora alle viste brevi, ma necessaria; occorre non illudersi su un prossimo appianamento di divisioni culturali e storiche che sono ben lungi dall'aver perso tutta la loro forza; ma è ugualmente lecito guardare con qualche non immotivata speranza a passi in avanti verso il recupero, da parte del nostro continente, di un ruolo strategico autonomo, più forte e pragmatico al quale esso aveva rinunciato da tempo.

Ciò non potrà avvenire solamente attraverso mirati interventi di ingegneria istituzionale.

E' necessario che i popoli europei vengano coinvolti più direttamente in quello che finora è stato quasi esclusivamente un gioco diplomatico tra cancellerie.

Solo rendendo visibili, maggiormente controllabili i processi di decisione si riuscirà ad infondere il senso di una nuova “cittadinanza europea” e la consapevolezza di una eredità e di un destino comuni, obiettivi verso i quali poco è stato fatto, in passato, in ambito comunitario, perché nulla si voleva fare.

La strada da percorrere, per gli Europei che sognano di rivedere il loro continente di nuovo protagonista e sono ansiosi di liberare la loro identità dalla “melassa che attanaglia l'UE”, per rimodellarla autonomamente nel crogiolo della modernità “pragmatica” è ancora lunga.

Ma questa strada, per le sfide che ci attendono, va percorsa per il bene dei singoli Stati e dell'UE.

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