di Gabriele Iuvinale
Il ritardo dell'Italia nella gestione della pandemia da coronavirus è sotto gli occhi di tutti, nonostante sia stata introdotta la figura di un Commissario Straordinario, che risponde al nome di Domenico Arcuri, al quale sono stati attribuiti finanche poteri speciali finora mai visti.
Basti pensare alla lentezza dell'iter burocratico dei piani di riordino regionali degli ospedali. Come già detto, la procedura ha avuto inizio a marzo, ma solo ai primi di novembre ci sono stati i primi interventi esecutivi. Otto mesi e siamo ancora in alto mare, in piena seconda ondata.
Non è, dunque, peregrino domandarsi se anche altri Stati europei si trovano nella nostra stessa situazione. La risposta è no. Non tutti gli Stati europei, difatti, presentano inefficienze come quelle italiche.

Un esempio per tutti è la Germania. In terra teutonica, contrariamente che da noi, è già iniziata una campagna di comunicazione istituzionale sull'importanza della vaccinazione. La finalità? Infondere maggiore tranquillità ai cittadini e spiegare per tempo come avverranno le procedure di vaccinazione (come era stato suggerito dalla Commissione europea in una sua comunicazione del 15 ottobre scorso). Inoltre si sta allestendo una riserva nazionale di prodotti medici per la gestione di future pandemie ed è stata prevista l'assunzione di 20.000 nuovi assistenti tecnici per le terapie intensive. Si stanno istituendo, poi, luoghi ad hoc per le vaccinazioni di massa ed, infine, la Germania ha anche adottato la terza legge pandemica nazionale in soli dieci giorni. Il merito, si dice, è principalmente dell'attuale Ministro federale della sanità che risponde al nome di Jens Spahn. Un giovanissimo, nato il 16 maggio 1980, arrivato al ministero nel 2018. Banchiere, è stato segretario di Stato parlamentare presso il ministro federale delle finanze dal 2013 al 2018 ed è membro del Bundestag dal 2002. Da molti è considerato, a merito, come possibile successore della Merkel.
Verrebbe, allora, da chiedersi se l'Europa avesse potuto, in qualche modo, fare di più per noi. Ma la risposta, anche in questo caso, è negativa.
In questo contesto, l'attuale crisi pandemica si è tradotta in uno vero e proprio stress test sotto differenti punti di vista. Ha generato anche una enfatizzazione di un vulnus insito nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europeo: quello delle politiche sanitarie, dove il ruolo delle Istituzioni sovranazionali è complementare rispetto agli Stati.
La difforme reazione dei singoli Stati alla pandemia, dunque, è dipesa essenzialmente dal differente grado di efficienza di ciascuno di essi.
E l'Europa l'ha compreso, tanto che l '11 novembre scorso la Commissione europea ha presentato una comunicazione da titolo Costruire un'Unione europea della salute: rafforzare la resilienza dell'UE alle minacce per la salute a carattere transfrontaliero, proponendo tre proposte legislative riguardanti:
un aggiornamento della decisione n. 1082/2013/UE, relativa alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero;
il rafforzamento del mandato del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC)
l'ampliamento del mandato dell'Agenzia europea per i medicinali (EMA), agenzia che gestisce (con riferimento all'UE) la valutazione scientifica della qualità, della sicurezza e dell'efficacia di tutti i farmaci.
Ma i ritardi italici si riscontrano, purtroppo, anche riguardo le indicazioni della Commissione europea nella comunicazione del 15 ottobre scorso, dove si invitavano gli Stati a riferire in modo chiaro ai cittadini le modalità di accesso ai vaccini, attraverso strutture centralizzate e punti di contatto centrali. Senza dimenticare come sia necessario spiegare bene i benefici, i rischi e l'importanza dei vaccini per rafforzare la fiducia del pubblico.
Ma pare che in terra italica tutto ciò sia ancora in mente dei, alimentando la politica della paura mentre è notizia di oggi che il Regno Unito, primo Paese al mondo, ha già approvato l'uso vaccino Pfizer e BioNTech.
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