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I quattro misteri del complicato viaggio di Pelosi a Taiwan

La tensione sull'isola non è stata così alta dal 1996 e una visita della Pelosi potrebbe spingere la Cina sull'orlo del baratro


di Nicola Iuvinale

Taiwan sarà la prossima. Non avrai nessun chip per computer. Li spazzeranno via dalla faccia della terra”.

Ebbene, chi l'ha detto?

La domanda che pone Niall Ferguson, in un suo suo articolo pubblicato su Bloomberg, fa parte del mistero dello Stretto di Taiwan.

E chi potrebbe svelare questo mistero meglio della Presidente della Camera Nancy Pelosi, il cui viaggio estivo in Asia potrebbe includere una tappa a Taiwan?

"Spero solo che abbia messo in valigia la sua crema solare SPF 50, dato che l'isola asiatica si è riscaldata parecchio. Secondo quanto è emerso durante la loro chiamata di giovedì, il presidente cinese Xi Jinping ha avvertito Joe Biden che “la salvaguardia risoluta della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale della Cina è la ferma volontà di oltre 1,4 miliardi di cinesi. … Coloro che giocano con il fuoco periranno per esso”. Ripensandoci, meglio mettere in valigia un tailleur in kevlar..".

Il viaggio di Pelosi a Taiwan non sarebbe certo una sorpresa. All'inizio di aprile, i media giapponesi hanno riferito che sarebbe dovuta andata lì, dopo un viaggio in Giappone. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha subito avvertito che una visita a Taiwan, di un legislatore di così alto rango, sarebbe stata una "provocazione dannosa".

La Pelosi ha però dovuto rimandare la visita dopo aver contratto il Covid-19.

Due settimane fa, il Financial Times ha divulgato la notizia che aveva riprogrammato il viaggio per agosto.

"È probabile che Pelosi voli a Taipei su un aereo militare statunitense", ha riferito lunedì il New York Times. "Alcuni analisti che esaminano le lamentele cinesi alla visita, affermano che la Cina potrebbe inviare aerei per "scortare" quello del Presidente della Camera e impedirne l'atterraggio".

Un nervoso Biden ha detto ai giornalisti: "I militari pensano che non sia una buona idea in questo momento". Questo, sembra non aver fatto cambiare idea a Pelosi.

Quindi, ecco la prima parte del mistero.

"Perché il Pentagono ha impiegato tre mesi per capire che un viaggio del Presidente della Camera a Taiwan “non è una buona idea?"

Non è che le relazioni tra Stati Uniti e Cina siano peggiorate solo una settimana fa. Taiwan è stata il punto critico chiave della Seconda Guerra Fredda - Berlino più Cuba più il Golfo Persico - da quando le relazioni sino-americane si sono decisamente inasprite oltre quattro anni fa.

Come sostenuto da Ferguson su Bloomberg nel marzo dello scorso anno, portare Taiwan sotto il controllo di Pechino è stato per decenni l'obiettivo coerente del Partito Comunista Cinese. Il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian è un noto esponente della nuova diplomazia del "guerriero lupo".

Ma non c'era nulla di nuovo nel suo avvertimento alla visita di Pelosi, come rappresentare una minaccia per la sovranità cinese, alla sua integrità territoriale e che la Cina avrebbe dovuto rispondere con "misure forti e risolute".

Abbiamo già visto questo film diverse volte: nel 1954-55, nel 1958 e nel 1995-96. Il caso più recente è il più simile a quello di oggi. Nel giugno 1995, al Presidente di Taiwan, Lee Teng-hui, fu concesso un visto per tenere un discorso presso la sua alma mater, la Cornell University, sull'"Esperienza di democratizzazione di Taiwan".

Il presidente Bill Clinton non cercava guai con Pechino. Aveva fatto una campagna contro George HW Bush con l'impegno di non "coccolare" i "tiranni" di Pechino; tuttavia, la sua prima minaccia di limitare il commercio con la Cina in assenza di "progressi complessivi e significativi" sui diritti umani, era stata un fallimento, nonostante il supporto entusiasta di una certa Nancy Pelosi. L'amministrazione Clinton aveva già negato a Lee Teng-hui un visto in precedenza. Tuttavia, questa volta, il Congresso forzò la mano, approvando una risoluzione a favore della visita di Lee, con 396 voti contro 0.

Poiché Lee aveva tenuto un discorso meno di un anno prima delle prime elezioni libere nella storia di Taiwan, molte persone si aspettavano che avrebbe sfruttato l'occasione per dichiarare l'indipendenza formale dell'isola.

La posizione di Lee era deliberatamente vaga, sebbene la maggior parte degli osservatori credesse che sostenesse privatamente l'indipendenza. (Anni dopo, ha sorpreso il pubblico taiwanese affermando di no). Il suo oppositore elettorale, tuttavia, era favorevole all'unificazione con la terraferma.

La rappresaglia di Pechino alla decisione degli Stati Uniti di concedere a Lee un visto fu sia diplomatica, che militare. L'ambasciatore cinese a Washington venne ritirato e un fotoreporter americano a Pechino arrestato. Il 21 luglio, l'Esercito popolare di liberazione iniziò a lanciare due missili al giorno in una zona di impatto a 100 miglia a nord di Taiwan. Washington rispose ordinando una serie di operazioni navali nello Stretto di Taiwan, culminate, a dicembre, con il transito attraverso lo stretto da parte del gruppo da battaglia della portaerei Nimitz. (In risposta alle proteste cinesi, l'amministrazione Clinton motivò il transito come una "diversione per cause meteorologiche").

Con l'avvicinarsi della data delle elezioni taiwanesi del 23 marzo 1996, Pechino annunciò nuovi test missilistici ed esercitazioni navali, incluso uno sbarco anfibio su un'isola scelta "per la somiglianza topografica con quella di Taiwan".

La Cina lanciò sia missili balistici M-9, che si schiantarono non lontano dai porti taiwanesi di Keelung e Kaohsiung, che condusse esercitazioni a fuoco vivo vicino all'isola taiwanese di Penghu.

"Che i missili fossero in grado di trasportare testate nucleari fu notato con profonda inquietudine a Washington".

Due mesi prima, secondo un articolo del 1998 del Washington Post, il vice capo di stato maggiore cinese, il generale Xiong Guangkai, aveva detto a Chas W. Freeman Jr., un esperto della Cina, che aveva servito come assistente segretario alla difesa:

Negli anni '50, hai minacciato tre volte attacchi nucleari contro la Cina e lo hai fatto perché non potevamo contrattaccare. Ora possiamo. Quindi non ci minaccerai di nuovo perché, alla fine, tieni molto di più a Los Angeles che a Taipei".

A loro merito, il team di Clinton non batté ciglio. Il 7 marzo, in una sala da pranzo del Dipartimento di Stato con vista sul fiume Potomac, il segretario alla Difesa William J. Perry avvertì Liu Huaqiu, un alto funzionario della sicurezza nazionale cinese, che ci sarebbero state “gravi conseguenze” se le armi cinesi avessero colpito Taiwan. Il segretario di Stato Warren Christopher e il consigliere per la sicurezza nazionale Anthony Lake, anch'essi presenti, ripetettero quelle parole.

L'11 marzo la portaerei Nimitz, reindirizzata dal Golfo Persico, attraversò nuovamente lo Stretto di Taiwan. "Era tutto molto teso", disse al Post un alto funzionario della difesa. “Siamo stati svegli tutta la notte per settimane. Abbiamo preparato i piani di guerra, le opzioni. È stato orribile." Ma ha funzionato. Pechino ha fatto marcia indietro. Lee ha vinto le elezioni e le tensioni descalarono.

Questo ci porta al secondo mistero dello Stretto di Taiwan:

"perché, quando hanno già le mani occupate con l'invasione russa dell'Ucraina, la squadra di sicurezza nazionale di Biden vorrebbe ripetere quell'esperienza del 1996?".

Parte della spiegazione può essere, come sostiene Ferguson, che l'amministrazione Biden voglia essere più aggressiva nei confronti della Cina, rispetto al suo predecessore Trump.

"Il modello è coerente".

A maggio, il segretario di Stato Antony Blinken ha criticato "la crescente coercizione di Pechino, come il tentativo di interrompere le relazioni di Taiwan con i paesi di tutto il mondo e impedirgli di partecipare a organizzazioni internazionali" e la sua "retorica e attività sempre più provocatorie, come far volare un aereo dell'EPL vicino a Taiwan quasi quotidianamente”.

A giugno, il segretario alla Difesa Lloyd J. Austin III ha messo in guardia la Cina contro attività “provocatorie e destabilizzanti” vicino a Taiwan, a seguito dei colloqui a Singapore con il ministro della Difesa cinese, il generale Wei Fenghe. Parlando a Singapore, Austin ha dichiarato che gli Stati Uniti manterranno la loro "capacità di resistere a qualsiasi uso della forza o altre forme di coercizione che metterebbero a repentaglio la sicurezza o il sistema sociale o economico del popolo di Taiwan". E lo stesso presidente ha più volte indicato di non essere più favorevole a una politica di "ambiguità strategica", per cui gli Stati Uniti riconoscono contemporaneamente che Taiwan fa parte di "una sola Cina", ma, al contempo, si impegnano a resistere ad una sottomissione forzata dell'isola da parte di Pechino.

"Devono sapere cosa sta arrivando", sostiene Ferguson.

Nel settembre 2020, quando l'amministrazione del presidente Donald Trump ha inviato a Taipei Keith Krach, il sottosegretario di Stato per la crescita economica, l'esercito cinese ha reagito oltrepassando la linea mediana che taglia in due lo Stretto di Taiwan.

Lo scorso novembre, quando una delegazione della Camera degli Stati Uniti ha visitato Taiwan, l'EPL ha schierato due dozzine di aerei per entrare nella zona di identificazione della difesa aerea sud-occidentale di Taiwan.

"Se la trasferta di Pelosi dovesse andare avanti, potremmo aspettarci non solo molto di più in tal senso, ma addirittura su scala molto più ampia".

Oltre ai sorvoli, potrebbero esserci operazioni delle milizie marittime intorno a Taiwan. Pechino potrebbe anche testare il suo ultimo missile balistico, il DF-26 (il cosiddetto Guam Killer, in grado di raggiungere la base statunitense su quell'isola del Pacifico).

Presumibilmente, il calcolo alla Casa Bianca rimane, come nelle elezioni del 2020, che essere duri con la Cina sia un voto vincente o, per dirla diversamente, che fare qualsiasi cosa che i repubblicani possano definire "deboli con la Cina" sia un voto perso. Eppure è difficile credere che questo calcolo reggerebbe se il risultato fosse una nuova crisi internazionale, con tutte le sue potenziali conseguenze economiche.

Ritiene Feguson che "non è il 1996, sotto quattro aspetti fondamentali".

In primo luogo, la leadership cinese ha una prospettiva molto diversa. Il presidente Xi Jinping non è certo Jiang Zemin, il segretario generale del PCC durante la precedente crisi. Xi richiama lo stile del culto della personalità che non si vedeva dai tempi di Mao Zedong e un rigore ideologico molto diverso dal pragmatismo economico del periodo successivo al 1989.

In secondo luogo, mentre Jiang ha dovuto affrontare difficoltà crescenti, l'economia cinese di oggi è in forte rallentamento. La crescita è stata negativa nel secondo trimestre. Il Fondo monetario internazionale prevede che la crescita complessiva di quest'anno sarà solo del 3,3%, "ed è già ottimistica".

Le tendenze demografiche e la dinamica del debito sono terribili e fanno presagire continui problemi in un settore immobiliare sovraindebitato. Oltre alle politiche che hanno messo fuori combattimento le grandi aziende tecnologiche del paese e il settore dell'istruzione privata, la dottrina di Xi del "covid zero" ha schiacciato la fiducia dei consumatori. L'ultima lettura economica indica il peggior crollo dall'inizio delle indagini, in quei lontani anni '90.

Secondo gli economisti Hunter Chan e Ding Shuang di Standard Chartered Plc, ci sono alcuni segnali di miglioramento economico nei dati più recenti. Le vendite di auto sono in aumento; così come le vendite immobiliari, mentre le scorte di tondini per cemento armato sono in calo. Ma tutto questo ci dice che il terzo trimestre sarà migliore del secondo, principalmente perché il governo non può rischiare lockdown così severi come quelli imposti a Shanghai all'inizio dell'anno. Persistono le restrizioni Covid. Si sono semplicemente trasferiti ad Anhui, Lanzhou, Shenzhen, Xi'an, Wuhan e Wuxi e non vengono più imposti in modo così draconiano.

Gli ultimi dati dell'Ufficio nazionale di statistica cinese hanno collocato la disoccupazione giovanile (dai 16 ai 24 anni) ad uno scioccante 19,3% a giugno.

Il mistero dello Stretto di Taiwan si approfondisce. Sicuramente è ovvio, per qualcuno a Washington, che una crisi economica così grave aumenta, piuttosto che ridurre l'incentivo al conflitto con gli Stati Uniti.

"Ma quanto devi essere ignorante della storia per non vedere l'urgenza di Xi di una nuova fonte di legittimità per il PCC, ora che la crescita economica non può più fornirla?".

La terza differenza tra l'era Clinton e quella Biden è l'equilibrio militare. A dire il vero, come hanno recentemente sottolineato Nan Tian, ​​Diego Lopes da Silva e Alexandra Marksteiner in Foreign Affairs, "le spese militari statunitensi sono aumentate di circa il 40% negli ultimi due decenni". Ma la Cina ha visto "27 anni ininterrotti di aumento della spesa militare" dall'ultima crisi dello Stretto di Taiwan, portandola ad un totale di 293 miliardi di dollari lo scorso anno.

Nel 1996, i cinesi non avevano modo di affondare le portaerei americane. Oggi hanno missili che possono fare proprio questo. Nel 1996 la loro minaccia nucleare era un bluff. Oggi non lo è.

Nel loro nuovo libro, "Danger Zone: The Coming Conflict with China", Hal Brands e Michael Beckley, sostengono che la possibilità di una guerra su Taiwan sia molto più alta di quanto presuppone la saggezza convenzionale. "Sono propenso ad essere d'accordo con loro", ritiene Ferguson.

“La finestra politica di Pechino si sta chiudendo”, ha scritto Brands il 23 giugno, “poiché la popolazione di Taiwan diventa sempre più determinata a non accettare la riunificazione alle condizioni della terraferma. Anche l'imminente declino demografico e un rallentamento dell'economia stanno minacciando la traiettoria a lungo termine della Cina, forse mettendo il presidente Xi Jinping in una posizione "ora o mai più". Storicamente parlando, questo tipo di situazione ha spesso tentato le potenze insoddisfatte ad usare la forza per raggiungere obiettivi che non possono raggiungere pacificamente”.

Non sono le potenze forti e sicure di sé che danno inizio alle guerre; sono poteri indebolenti che sanno che il tempo non è dalla loro parte.

I tempi di un potenziale attacco cinese a Taiwan sono dibattuti all'infinito dai fanatici della guerra.

"Sento spesso intervalli di tempo che vanno da cinque a 10 anni - o anche più a lungo (un esempio: la guerra romanzata del " 2034 " dell'editorialista di Bloomberg Opinion, l'ammiraglio James Stavridis). Ma sono rimasto molto colpito da un rapporto del New York Times la scorsa settimana in cui si afferma che alcuni funzionari dell'amministrazione Biden temono che "i leader cinesi potrebbero tentare di muoversi contro l'isola autonoma nel prossimo anno e mezzo, forse cercando di tagliare l'accesso a tutti o parte dello Stretto di Taiwan, attraverso il quale passano regolarmente le navi militari statunitensi” Non so chi siano quei funzionari. Potrebbero essere allarmanti. Oppure potrebbero sapere qualcosa che noi non sappiamo", scrive Ferguson.

Il quarto aspetto, per cui questo non è il 1996, è che abbiamo mostrato la nostra mano. Come ha affermato la scorsa settimana il senatore Chris Coons del Delaware, "si presta molta attenzione" alle lezioni che la Cina potrebbe imparare dagli eventi in Ucraina. “Una scuola di pensiero”, ha detto Coons, il più stretto confidente del Congresso di Biden, “è che la lezione è 'vai presto e vai forte' prima che ci sia il tempo per rafforzare le difese di Taiwan. E potremmo essere diretti verso un confronto, un'invasione, più di quanto immaginiamo".

Xi non ha fatto nulla per dissuadere il presidente russo Vladimir Putin dall'invasione dell'Ucraina e dal tentativo di rovesciare il suo governo. A parte l'eroica leadership e la coraggiosa difesa degli ucraini, il motivo principale per cui l'invasione di Putin è fallita è che i governi occidentali hanno imposto un'ampia gamma di sanzioni alla Russia e, cosa forse più importante, hanno spedito grandi quantità di armi in Ucraina.

Eppure, anche con il sostegno occidentale, gli ucraini non sono stati in grado di scacciare l'esercito russo dal Donbas e dal territorio a est di Kherson, nel sud. Un quinto dell'Ucraina è nelle mani dei russi (anche se una controffensiva ucraina di successo potrebbe cambiare le cose).

Xi comprende che un'invasione cinese di Taiwan sarebbe un'impresa più rischiosa dell'invasione russa dell'Ucraina. D'altra parte, sa che Taiwan è molto meno "porcospino" dell'Ucraina quando si tratta di autodifesa. Sa che fornire armi a Taiwan sarebbe molto più difficile per l'Occidente che rifornire l'Ucraina. Sa che i costi economici dell'imposizione di sanzioni alla Cina sarebbero più elevati per l'Occidente, che non alla Russia. E sa, che una guerra prolungata su Taiwan, sarebbe ancorpiù dirompente, per l'economia globale, di una guerra prolungata contro l'Ucraina.

Come dice Brands, “i combattimenti trasformerebbero parti della regione economicamente più dinamica della terra in una zona di fuoco libero; minaccerebbero le rotte marittime critiche attraverso le quali passa forse un terzo del traffico marittimo mondiale”.

Non solo, ma grazie alla posizione di leader mondiale di Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. - che produce il 92% dei semiconduttori avanzati necessari per ogni smartphone, laptop e missile balistico nel mondo - una guerra per Taiwan devasterebbe l'economia mondiale, compreso il settore tecnologico statunitense, come hanno sottolineato il mese scorso Graham Allison ed Eric Schmidt.

Secondo le stime della RAND Corporation, una guerra di un anno tra Stati Uniti e Cina, ridurrebbe il prodotto interno lordo statunitense dal 5% al ​​10%. Anche questa amministrazione dovrebbe riconoscerla come una recessione.

La guerra in Ucraina ci ha riportato, in molti modi, indietro di oltre un secolo, al tipo di conflitto che abbiamo visto nella prima guerra mondiale. Ci sono brutali battaglie di logoramento in cui l'artiglieria è l'arma cruciale. E c'è una guerra economica, nella quale la proprietà privata dei cittadini nemici e le riserve delle banche centrali sono un gioco leale.

Nelle ultime settimane, scrive Ferguson, "ho discusso le implicazioni con due eminenti banchieri centrali. Si temeva che la confisca dei beni privati ​​avesse fondamentalmente screditato la pretesa anglo-americana di difendere lo stato di diritto e i diritti di proprietà privata. Un altro temeva che il congelamento delle riserve della Banca centrale russa potesse in definitiva minare lo status di valuta di riserva del dollaro. Nessuno dei due ha parlato di queste misure come armi segrete alle quali la Cina non sarebbe stata in grado di resistere. Come ha affermato uno di loro, la domanda chiave è: "Cosa fanno i cinesi ora che abbiamo mostrato loro il nostro playbook?"

L'ultimo mistero dello Stretto di Taiwan è che l'amministrazione democratica è in rotta di collisione con il suo predecessore: Trump non avrebbe mai rischiato così. È vero, l'amministrazione Trump ha fatto molto che ha sconvolto Pechino, non ultimo imponendo le tariffe che l'amministrazione Biden sembra non riuscire a togliere.

Ma Trump sarebbe andato sull'orlo della guerra per Taiwan? Secondo le memorie dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, a Trump piaceva indicare la punta di uno dei suoi pennarelli e dire: "Questa è Taiwan", quindi indicare la scrivania Resolute nello Studio Ovale e dire: "Questa è la Cina". 'Taiwan è a due piedi dalla Cina", ha detto Trump a un senatore repubblicano. “Siamo a 8.000 miglia di distanza. Se invadono, non c'è niente che possiamo fare al riguardo".

A marzo, Trump ha avuto una conversazione telefonica con il golfista professionista John Daly, che i futuri storici citeranno, indipendentemente dal fatto che credano o meno ad una parola tra quelle che ha detto.

"È come se avessero paura di lui", ha detto Trump, riferendosi a Putin. “Sai, era un mio amico. Mi sono trovato benissimo con lui. Dico: "Vladimir, se lo fai [attaccare l'Ucraina], stai colpendo Mosca"... e in un certo senso mi ha creduto, tipo 5%, 10%, è tutto ciò di cui hai bisogno". "Non l'ha mai fatto ai miei tempi, John, sai... Perché non l'ha fatto negli ultimi quattro anni? ... Anche Xi non ha infastidito me. Gli ho detto la stessa cosa".

E Trump ha aggiunto: “Taiwan sarà la prossima. Non avrai nessun chip per computer. Li spazzeranno via dalla faccia della terra”.

Sì, ecco chi ha detto le parole con cui Ferguson ha iniziato il suo editoriale.

"E faremmo tutti meglio a sperare – Nancy Pelosi, in particolare – che non si rivelino profetiche".

Fonte: Bloomberg. Specializzato in storia economica e finanziaria, Niall Ferguson è professore di storia moderna all'Università Harvard. È noto soprattutto per i suoi studi su colonialismo e imperialismo. Collabora con numerose testate giornalistiche.

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