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Immagine del redattoreGabriele Iuvinale

QUELLO CHE NON CI DICONO - I dati oggettivi della settimana economica

La recrudescenza della pandemia interrompe la crescita economica e aggrava l'incertezza.

Questo è il titolo del comunicato stampa con il quale la Commissione Europea ha reso note, in settimana, le previsioni economiche d'autunno 2020.

In sintesi, mentre nel terzo trimestre, con la graduale revoca delle misure di contenimento, si era registrata una leggera ripresa, l'aggravarsi della pandemia nelle ultime settimane sta scompigliando le carte in tavola, in termini assolutamente negativi.

La situazione epidemiologica, dice la Commissione, fa sì che le proiezioni di crescita nel periodo oggetto delle previsioni siano caratterizzate da un grado di incertezza e di rischio estremamente elevato.

I nuovi dati.

L'economia della zona Euro subirà una contrazione del 7,8 % nel 2020. Tornerà a crescere del 4,2 % nel 2021 e del 3 % nel 2022.

In ogni caso, si prevede che nel 2022 sia il PIL della zona Euro che quello dell'UE non tornino ai livelli precedenti alla pandemia. L'Italia, dopo la Spagna, sarà il Paese maggiormente colpito. Previsto un crollo del PIL a - 9,9% per il 2020, con una ripresa del 4,1% nel 2021 e del 2,8% nel 2022.

Dati in peggioramento, dunque, che stanno conducendo l'Italia dritta dritta verso lo scenario economico peggiore ipotizzato anche dallo stesso Governo italiano nella NADEF, dove era previsto un PIL in discesa del 10,5% nel 2020, per poi crescere dell’1,8% nel 2021 e del 6,5% nel 2022. Va ricordato che la Nota di Aggiornamento al DEF, redatta prima che fosse disponibile il dato sul PIL nel terzo trimestre, prevedeva per il 2020 una flessione del PIL del 9%, che salirebbe del 5,1% nel 2021 e del 3,0%. nel 2022.


Ma queste previsioni “ottimistiche”, come abbiamo visto, vengono oggi “smentite” dai nuovi dati europei.

Politica nostrana.

Sul fronte interno dobbiamo però registrare che, dinanzi a questa situazione così catastrofica, la politica nostrana, chiusa nei suoi palazzi romani, è del tutto irresponsabile. Non riesce - o forse non vuole - dare né spiegazioni coerenti con i dati oggettivi, tanto meno proporre soluzioni di prospettiva, soprattutto su come far ripartire la crescita e rendere sostenibile l'enorme debito pubblico accumulato. Anzi, sembra scommettere pericolosamente su un sicuro e duraturo “salvataggio” della BCE. Un azzardo, anche morale, a scapito dei cittadini verso i quali si mostra sempre più dissociata.

Invero, proprio Banca d'Italia in settimana ci ha ricordato quali dovrebbero essere le priorità: crescita e debito pubblico appunto.

Capitolo debito pubblico.

La pandemia sta portando il debito pubblico su livelli mai raggiunti dai primi anni Venti dello scorso secolo. Per abbattere il debito, ha ribadito Banca d'Italia per l'ennesima volta, servono crescita economica e un buon avanzo primario (almeno l’1,5 per cento del PIL). Per ottenere quest’ultimo è, ovviamente, importante limitare gli aumenti di spesa di carattere strutturale.

Capitolo crescita

L'Italia, è noto, ha un’economia con difficoltà strutturali di crescita. La pandemia ha colpito un’economia che non aveva ancora recuperato i postumi della doppia recessione connessa con la crisi finanziaria globale e con la crisi del debito dell’area dell’Euro: nel 2019 il PIL italiano era ancora di quasi 4 punti percentuali inferiore a quello del 2007 (6,3 punti in termini pro capite.

Da più di due decenni, ci dice l'Istituto di Vigilanza, l’economia italiana cresce sistematicamente meno di quelle degli altri paesi sviluppati, frenata dalla stagnazione della produttività del lavoro.

Dal 1995 il prodotto per ora lavorata è cresciuto in Italia di appena il 7% contro 26% dell’area dell’Euro nel suo complesso. Il PIL pro capite italiano, che a parità di potere di acquisto nel 1995 era di 9 punti superiore a quello medio dell’area dell’Euro, nel 2019 era inferiore di 10 punti.


E le cause sono note.

La qualità dei servizi pubblici non è adeguata. Si investe poco. Si spende poco per l’attività di ricerca e sviluppo. Abbiamo pochi ricercatori. Anche a causa della ridotta dimensione di impresa, la spesa privata in rapporto al PIL è circa la metà della media OCSE (0,9 per cento contro 1,7), e anche l’investimento pubblico è relativamente basso. E' limitato anche il numero di brevetti. In rapporto al PIL è meno della metà di quello dei paesi OCSE (1,4 contro 3 brevetti per miliardo). In Italia si studia ancora troppo poco e la qualità dell’apprendimento presenta vari problemi (ma questo è un argomento a sé, che merita ben altri approfondimenti). Abbiamo una pressione fiscale relativamente elevata. Il cuneo fiscale sul lavoro è particolarmente pesante. Abbiamo imprese in media relativamente piccole, che faticano a innovare, a imporsi sui mercati internazionali, a crescere di dimensione. Infine, e non ultima in ordine di importanza, una giustizia con tempi biblici.

Anche il Governatore Visco, intervenuto in settimana agli Stati Generali delle Pensioni, ribadisce la necessità di riportare, nel prossimo decennio, il tasso medio di espansione del PIL in termini reali all’1,5% (pari cioè a quello registrato nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria globale).

Serve l'aumento della produttività totale dei fattori che ne porti la crescita attorno allo 0,7% (una posizione intermedia tra la dinamica molto positiva osservata in media tra il 1986 e il 1995 e quella, assai più modesta, dei dieci anni successivi) e una ripresa dell’accumulazione che riporti il rapporto tra investimenti (privati e pubblici) e PIL sui livelli del decennio 1996-2007.

In questo contesto anche i conti pubblici si stanno deteriorando.

In settimana il MEF ha infatti comunicato che nel mese di ottobre il saldo del settore statale si è chiuso, in via provvisoria, con un fabbisogno di 9,8 mld, con un peggioramento di circa 12 mld rispetto al risultato del corrispondente mese dello scorso anno. Tradotto, meno liquidità in cassa.

Vedremo quando saranno effettivamente accreditati sui conti dei beneficiari.

Un'ultima chiosa. A coloro che ogni giorno, anche sui social, insistono pedantemente sul fatto che il problema italico sarebbe l'evasione fiscale o non hanno capito nulla o sono in perfetta “mala fede”.

Dati oggettivi e confronto.

A buon intenditor, poche parole.

Continuerò a tenervi aggiornati.

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